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12 IL BUON CUORE


colossale patrimonio di famiglia. Fu allora che Satana tentò rapire Carlo alla Chiesa. A ora tarda, si introduce nella sua camera l’infelice scelta per la tentazione e si spera. Carlo sorgeva allora dalla preghiera; aveva forse sentita tutta la dolcezza della sua austera virtù; aveva compiuto dei voli per l’infinito con l’angelo vegliante nella notte su Arona. L’immenso silenzio del lago, le linee dei monti disegnati nel cielo come grandi figure umane oranti in silenzio, l’avevano tenuto nella più profonda meditazione.

L’urto di Satana fu terribile, ed io fremo tutto ricordando quella scena e risentendo quel grido che il Giussano nella sua storia ha ricordato: Carlo gridò, dice lo storico, e giù per gli scaloni della rocca, fuggì. Dove andò, se non a pregare e a immergersi nuovamente in Dio? Come un forte e avveduto esploratore delle vette che sopra una cresta alpina vede dall’abisso salire la nebbia che lo vorrebbe avvolgere e perdere, gira a salti l’abisso e ritorna a un’altra cima squassando il capo nel sole.

Accomodati gli affari in Arona, ritornò a Pavia dove la Università lo aspettava per conferirgli nel 1559 la laurea di dottore in leggi civili e canoniche. Aveva allora 22 anni; Paolo IV era morto in quell’anno e, mentre il santo prendeva l’anello di dottore, i cardinali entravano in Conclave per la elezione del nuovo Pontefice. Ne usciva papa Angelo de’ Medici, patrizio di Milano, zio del Borromeo, col nome di Pio IV, che chiamava il nipote presso di sè e gli imponeva i pesi maggiori del governo pontificio con l’amministrazione e il reggimento dello stato ecclesiastico. Fatto prima protonotario partecipante, poi Referendario, l’ultimo di Gennaio 1560 veniva creato Cardinale e all’8 del mese dopo il papa gli conferiva il titolo di Arcivescovo di Milano.

Conte, dottore, cardinale, arcivescovo, nipote di papa, la vanità poteva mettere le vertigini alla sua mente di non ancora 23 anni. Ma l’uomo dedito alla preghiera sente il peso della responsabilità de’ suoi onori; l’autorità viene da Dio, e più essa investe una creatura, più la creatura deve mostrarsi riconoscente al divino donatore. Se fino allora quindi S. Carlo amò la preghiera, da quel dì essa crebbe con le sue dignità. Ogni giorno verso il tramonto lo si vedeva fare in ginocchio la scala Santa, visitare i sepolcri degli Apostoli e dei martiri e sulle rovine della antica Roma pagana, viaggiare meditando i trionfi della croce che vi era piantata sopra come bandiera di gloria. Alle notti infami, egli sostituiva le sue celebri notti Vaticane. Fu in questo suo soggiorno a Roma Che una notte, trovandosi in una villa di un principe suo parente, gli si ripetè l’assalto di Arona. Tre ore prima dell’alba, Carlo fuggiva da quella casa e le ossa dei martiri dormienti nella Roma sotterranea sentivano passar sopra correndo il giovine cardinale che li invocava e piangeva.

Pio IV lo vedeva trasfigurarsi ogni giorno, ne era rapito. Lo fece gran camerlengo per la morte del Cardinale Santa Fiore, poi Sommo penitenziere e Carlo si trovò, con la mano casta riposantesi sul cuore stesso della Chiesa di Gesù Cristo. Gli onori gli piovevano
sul capo e l’amore a Dio, alla sua Chiesa lo ardeva nell’anima. Fatto Legato di Bologna, della Romagna, della Marca Anconitana, protettore del Regno del Portogallo, della Germania inferiore e dei Cantoni svizzeri cattolici, protettore supremo degli ordini di S. Francesco, dei Carmelitani, degli Umiliati, dei canonici regolari di Santa Croce di Coimbra, dei sacri cavalieri gerosolimitani e della croce di Cristo del Portogallo, poteva dire che gloria più grande non avrebbe potuto incoronarlo.

Allora, ed è così che avviene alle anime grandi, Iddio lo toccò col dolore e volle provare la tempra del suo amore per lui. Il conte Federico, suo unico fratello, moriva il novembre di quell’anno 1562. La famiglia dei Borromei guardava al cardinale, unico rimasto che potesse conservare la famiglia. Secondo le usanze dei tempi, Carlo non aveva ancora ricevuta la consacrazione sacerdotale. Egli era libero, era unico erede della casa, signore di molti castelli e domini ricchissimi; le nozze si presentavano quasi come una necessità e il Papa stesso vi pensò.

O grandezze nascoste dei santi, ore di lotta che il mondo non conosce, momenti della santità in conflitto con la natura!

S. Carlo, dice il Giussano, la notte stessa della morte del fratello tracciò una regola austera di vita di cui tutta la fiamma e tutto il profumo era l’orazione; e quando gli fu fatta la proposta di matrimonio, rispose: domando l’ordinazione di prete.

Tutto era finito per il mondo. Quella sovrumana fisionomia che aveva imparato a guardare e ad amare fanciullo, quel volto divino pel quale a Pavia, ad Arona, a Milano e ultimamente a Roma si era sentito rapito, in quella ora egli aveva messo in cima a ogni volto umano. Cristo solamente poteva appagare le brame dell’anima sua e disse col gesto che ha l’anima dei santi: tutto è vanità e te solo per sempre io seguo. E Cristo rispose: andiamo insieme a Milano.

Voi vedete, io passo a volo sui fatti gloriosi della vita del nostro Santo. Io non vi dico nemmeno del Concilio di Trento di cui egli fu l’anima e che condusse a termine con una abilità e santità che tutti i secoli ammireranno.

(Continua) D. Pietro Gorla.

L’aviazione nei sogni


Tutti sanno che i sogni più comuni, specialmente nell’età giovanile, sono quelli in cui il dormiente pare di sollevarsi in aria e di volare. I sogni di questo genere hanno colpito le menti umane fin dall’antichità: se ne trova menzione perfino negli scritti di Cicerone, di S. Girolamo e del vescovo Sinesio. E sono sogni che lasciano vivamente convinto e persuaso il soggetto, il quale anche dopo il risveglio continua per un certo tempo a credere di aver veramente volato. Il famoso pittore francese Raffaelli, che spesso fa di questi sogni, confessa che più volte, svegliatosi ha fatto dei tentativi