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IL BUON CUORE 147


Religione

Domenica terza dopo Pasqua


Testo del Vangelo

Disse Gesù a’ suoi discepoli: Un pochettino e non mi vedrete e di nuovo un pochettino e mi vedrete, perchè io vo al Padre. Disser però tra loro alcuni de’ suoi discepoli: Che è quello che egli ci dice: — Non andrà molto e non mi vedrete, e di poi, non andrà molto e mi vedrete, e me ne vo al Padre? Dicevano adunque: Che è questo ch’egli dice: Un pochettino? non intendiamo quel ch’egli dica. Conobbe pertanto Gesù che bramavano di interrogarlo, e disse loro: Voi andate investigando tra di voi il perchè io abbia detto: non andrà molto e non mi vedrete, e di poi: non andrà molto e mi vedrete. In verità, in verità vi dico, che piangerete e gemerete voi, il mondo poi godrà; voi sarete in tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gaudio. La donna, allorchè diventa madre, è in tristezza, perchè è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’affanno a motivo dell’allegrezza, perchè è nato al mondo un uomo. E voi adunque siete pur adesso in tristezza; ma vi vedrò di bel nuovo, gioirà il vostro cuore e nessuno vi torrà il vostro gaudio.

S. GIOVANNI, Cap. 16.


Pensieri.

Qui, come anche molte volte altrove, il parlare di Cristo non è trasparente e di prima evidenza, neppure per menti dotate di maggior penetrazione. Si direbbe che Gesù si compiacesse di avvolgere tra ombre più meno vaporose certe verità, quasi un riserbo di delicato pudore o di soave gentilezza gli suggerissero una simile condotta; certo, un proposito di tormentare l’affettuosità dei discepoli per esplorarne la sensibilità la rettitudine, una mira sapiente di provocare maggior attenzione, interesse, domanda di schiarimenti e sviluppi di troppo laconiche espressioni, a scuola degli Apostoli, non lo si può negare.

Nel campo cristiano che rifugge da scisma, troverete persone che adombrano, si scandalizzano delle oscurità della parola di Dio, specie di quella tradotta in azione che, in lingua povera, si chiama condotta di Dio nel governo degli uomini in genere e dei cristiani in specie. E’ degno di un essere ragionevole desiderare chiarezza di linguaggio; non è male chiederla; è ridicolo pretendere di tutto conoscere; è bene fidarsi di Dio che parla anche quando non se ne afferra subito il senso; l’esperienza ci mostrò sempre giustificata la parola divina.

Dicendo Gesù ai discepoli che fra poco non lo avrebbero più veduto, e dopo un poco lo avrebbero veduto, certamente accennava alla sua ascensione e alla venuta in qualità di Giudice alla fine dei secoli assegnati alla vita degli umani. Ma nessuno ci vieterà di intendere colpite anche e la sottrazione momentanea di Gesù nel triduo della sua morte, e la ricomparsa della risurrezione
dal momento che non sono nè apertamente nè implicitamente escluse. E anche allora — certo in modo più sensibile che dopo l’ascensione — il mondo trionfò, abbandonossi a tutte le più incomposte e clamorose dimostrazioni di gioia per aver vinto Gesù Cristo; e gli Apostoli furono in gemiti e pianti e terrori inenarrabili.

Però, come dicevamo, il senso precipuo è che gli Apostoli e tutti i fedeli fra poco non avrebbero più veduto il divin Maestro perchè era per salire al Padre, fra poco l’avrebbero veduto al finale Giudizio. Questo modo di computare e definire il tempo, per noi che siamo nel tempo, non può che suonare strano; più strano, se viviamo nel dolore. Ma per Dio, innanzi al quale «mille anni sono come un giorno già passato.... per nulla contano gli anni degli uomini» (Salm. 89, 4) il trattare il tempo nostro con quella disinvoltura e superiorità quasi scherzevole, è la cosa più naturale e logica. Del resto, anche per noi — benchè in modo molto relativo — il tempo che ci divide dall’istante fortunato in cui vedremo faccia a faccia, e come è, e coi nostri occhi carnei, la divina persona di Cristo, che cosa è paragonato all’eternità, giudicato alla stregua del nostro passato che «fuggì come ombra» (Job. 14), preso coi criterii dei Santi che gemendo sotto il peso delle condizioni presenti, sorvolavano i secoli per slanciarsi al di là della materia e del tempo presente pregustando il Cielo?

Il cristiano nella sua vita pratica, se davvero christianus è alter Christus, deve adottare meno che la forma materiale, il criterio di Cristo nel giudicare il tempo. O il suo è tempo di bonaccia, di favore, di gloria, di ricchezza, di sanità, anche nell’ipotesi che tutto ciò sia dono del cielo e punto opera di intrigo frutto di peccato, e non vi si adagierà come nella suprema felicità riserbata all’uomo; il tempo è fugace, la sorpresa di vedere finito troppo presto il suo bugiardo Paradiso sarebbe atroce, insopportabile alle sue energie morali svigorite nella mollezza. Oppure il suo tempo è di tempesta, e anzichè una pioggia di fiori, cada su lui una pioggia di sventure, di oltraggi, di disinganni, e il suo orizzonte, corrucciato e nei o, accenni a minaccie e sfrenatezze anche più spaventose in avvenire, e pensi che fugge anche il tempo in cui si soffre; che l’ieri, inghiottito dalle ingorde fauci della eternità, che più nulla restituiscono, è irrevocabile e più non torna. Grande fattore di benessere il criterio della fede nel giudicare il tempo!

Preannunciando Gesù, e agli Apostoli e a quanti, lungo i secoli, avrebbero abbracciato la sua dottrina, che dopo la sua partenza dal mondo sarebbero stati in gemiti e in lacrime, faceva loro un non tascurabile onore. Ammetteva che avrebbero fatto ciò che in casi simili fanno solo le anime grandi e si degnava di fare gran caso di cotali dimostrazioni di dolore e di affetto. Veramente questa predizione non era nuova essendo già fatta quando Gesù, togliendo a difendere gli Apostoli accusati di non digiunare al modo dei discepoli di Giovanni e dei Farisei, disse: «Possono forse i compagni dello Sposo essere in lutto sintantochè lo Sposo è con essi? Ma verrà il tempo che sarà loro tolto lo Sposo e allora digiuneranno» (Matth. IX, 15). Forse allora non fu rilevato tutto il senso della pro-