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386 IL BUON CUORE


sentato gli orribili quadri della corruzione minorile, come una piaga nuova. Qui l’oratore ricorda un progetto di leggi efficaci, presentato or sono quindici anni dall’Istituto che oggi celebra il suo venticinquesimo.

Concretando le sue opinioni, Don Carlo San Martino, da medico esperto del contagio che minaccia rovina morale e sociale, esprime il dubbio che il progetto destinato a giungere alla Camera contenga questi difetti: 1° che si abbia di mira quasi unicamente la repressione della delinquenza e non la prevenzione; 2° che si lasci impero assoluto alla burocrazia, idra che strozza o paralizza ogni più bella iniziativa, tanto più la privata, di tutte la più idonea nel campo della praticità; 3° che si dia allo Stato un compito esorbitante dalle sue forze e dalle sue attribuzioni; 4° che siasi escluso dalle cause della delinquenza la decadenza del sentimento religioso.

Nel campo dei fatti, trattasi d’una missione di sacrificio che per la persona coscienziosa diventa martirio di tutti i giorni, di tutte le ore, un martirio, o almeno apostolato che richiede un animo asservito all’opera di redenzione, dimentica di sè, desideroso di trovare nella famiglia degli abbandonati la propria famiglia. Potrebbe lo Stato reclutare un simile personale? Tali considerazioni trovano riscontro con quelle del Procuratore generale comm. Bacchialone, il quale ammirò ed ammira tuttavia nell’Istituto di via Filangeri l’attuazione del concetto di acquisire alla istituzione l’opera degli stessi beneficati, convertendo così in un vero civile sacerdozio la carriera difficilissima degli assistenti ed istitutori.

Accenna quindi l’oratore a dannose esclusioni e segnala come amenità i rimedi proposti al Governo da certi relatori e da certe relatrici. Spezza poi uni lancia formidabile in difesa del senatore Calabrese, il quale — dice — può aver esorbitato nell’indicare i rimedi, ma ha detto verità inoppugnabili nel segnalare certa stampa come causa di corruzione.

Pur ammettendo l’utilità dell’intervento del legislatore in appoggio alle istituzioni private, Don Carlo San Martino, per propria esperienza, invocherebbe che fosse tolta la patria potestà ai genitori indegni di esercitarla e che i fanciulli sventurati venissero assicurati da contatti impuri, ricoverati in asili sicuri e assistiti magari fino all’età maggiore.

Da ultimo l’oratore è lieto di presentare alla straordinaria assemblea di benefattori e ai rappresentanti delle autorità il bilancio morale dell’Opera. La sintesi del codice imperante nel venticinquenne Istituto sta nel prevenire i mali fisici e morali con un trattamento igienico e una istruzione appropriata alle attitudini dei ricoverati. Dal nulla si è pervenuti al regolare funzionamento di quindici scuole di lavoro, delle quali sette per la sezione femminile. E anche aperta la via per gli studi ginnasiali, liceali e di agricoltura. La carità non può consentire il lusso di tesoreggiare; così in 25 anni si sono erogati più di due milioni, conservando a tutt’oggi un patrimonio di circa due milioni. Per gli oneri che ogni eredità porta seco, le risorse patrimoniali non consentirebbero che il ricovero d’una trentina di sventurati; ma le braccia si allargano per le prestazioni gratuite di generosi, per fiduciarie
elargizioni di persone munifiche e per altre risorse provvidenziali: sicchè il numero dei ricoverati si aggira dai 200 ai 250 con una spesa settimanale di circa lire 2400.

L’oratore concluse con un ringraziamento ai Milanesi che hanno sempre amato l’Istituto pei Figli della Provvidenza e sentono, guardando al Cellulare, per quali vie si redima il fanciullo.

Sottolineato in molti punti con segni di viva approvazione, il discorso suscitò in fine una vera ovazione.

A questo punto il comm. Ercole Gnecchi, a nome del Consiglio Amministrativo, con belle e affettuose parole, presentò a Don Carlo San Martino una medaglia d’oro come memoria della giornata e come segno di riconoscenza verso l’illuminato fattore della istituzione.

Altra ovazione, poi ancora bella musica dei ragazzi, che fecero onore ai loro maestri Corio, Morlacchi e Chiesa.

L’autorità e i benefattori visitarono poi l’Istituto, esprimendo vivissimo compiacimento, specialmente per le fiorenti scuole di lavoro.

PENSIONATI OPERAI


Per i giovani operai, per la loro vita e per la loro educazione, non si fa mai troppo; in quante città operaie d’Italia, ci sono, ad esempio, i pensionati operai? I pensionati per giovani operai — realizzati così bene nei paesi tedeschi dal Gesellenvereine — non sono una novità neanche in Italia, per quanto nel campo nostro molto meno frequenti ed appoggiati di quanto il bisogno richiegga. Ricordiamo, per Milano, il Patronato operaio di via Cellini che meriterebbe di essere maggiormente conosciuto e sostenuto. Su larga scala si sta ora incarnando quest’opera a Brescia. Il pensionato per i giovani operai ha di mira che i giovani apprendisti venienti dalla campagna alla città per dedicarsi al lavoro industriale — fenomeno ormai che purtroppo non si può impedire — possano esser accolti in un ambiente morale e igienico. La missione del pensionato, in linea morale, consisterà nel curare che í giovani operai si rechino puntualmente al lavoro e ne ritornino nelle ore stabilite: nel tenersi informato della loro condotta e nell’interporsi presso i padroni in caso di conflitto per cercare amichevoli accordi: nel vigilare affinchè i giovani operai frequentino le scuole loro convenienti e nel tenersi informato del loro profitto e della loro condotta; nello sovvenire le famiglie, o chi le rappresenta, in caso di gravi mancanze, di malattie o disoccupazione, affinchè prendano i provvedimenti necessari: nel curare che i giovani operai pensino alla previdenza col risparmio. I pensionati non avranno ostacolato il diritto d’associazione, purchè naturalmente non si trattino di associazioni che avversino la religione e le istituzioni nazionali. Essi assisteranno a quelle istruzioni o conferenze o discussioni che si tenessero nell’istituto a loro coltura; e così pure frequenteranno le scuole del pensionato, oppure, col consenso del diret-