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IL BUON CUORE 365


non sarebbe neppure conforme alla disciplina più ortodossa in qualunque ordine sociale.

Del lavoro vostro come lavoro, per quanto magnificato dal vostro panegirista, abbiamo già detto che persuade poco. Se l’Autorità non credette tampoco di prenderlo in considerazione, è già qualche cosa contro di voi.

Ma c’è dell’altro. Voi stessi avete, con una strana contraddizione, deprezzata, svalutata l’opera vostra sia a voce, sia per scritto come è facile vederlo nel vostro Riassunto al quale rimandiamo il lettore. Noi, oltre il già detto nel numero passato, soggiungiamo che il vostro lavoro somiglia molto a quegli edifizii che si innalzano su palafitte, cioè campati quasi in aria e non aventi fondamento comune; voi avete fabbricato su documenti e autorità del secolo XVI; ma importava invece e più largheggiare di argomenti tolti dai secoli precedenti; allora avreste fatto breccia anche sui più renitenti e difficili. Dovevate dirci del culto di S. Satiro p. e dal IV secolo in avanti, e che cosa si era fatto pel detto Santo in quella Porziana dove vorreste collocare il suo tumulo. Invece vi accontentate di scrivere che il culto di S. Satiro è posteriore al secolo IX o X. A noi intanto consterebbe il contrario; che cioè, traccia di culto a S. Satiro ce n’ha avanti, molto avanti il mille, et quidem, non nella Porziana, in cui non venne mai acceso un sol moccolo a quel modestissimo, ma nella Basilica Fausta inclusa nella Basilica Ambrosiana. Gli avversarii frughino nelle Biblioteche e troveranno.

Bellina poi questa, di prendersela un po’ con tutti invece di risalire più in là, più in alto a esalare l’amarezza che trasuda, stilla fra linea e linea degli articoli di autodifesa e autopanegirico di questa disgraziata campagna. Simili a quei cani — scusate il paragone alquanto basso, lo vediamo anche noi, che però è molto espressivo — simile a quei cani che rincorsi e sferzati da mano robusta, o si avventano alla schioccante coda della frusta, o vanno ad addentare rabbiosamente un sasso, un legno, tutto, fuorchè il braccio percuotitore. È chiaro il senso della parabola? Più in sù, più in alto dovreste dirigere le vostre doglianze e spiegazioni e panegirici. Si avventano contro tutto e tutti....

Quando vediamo p. e. che quei signori dotti avversarii prendono sul serio anche il Buon Cuore, anche il signor Meregalli, ahi! bisogna dire che a forza di usare del senso critico, e scientifico e storico, hanno finito col fare a meno del senso comune; bravi, excelsior, excelsior!...

Quanto a coerenza e a logica e assenza di passione nel lavoro dei nostri avversarii, ecco un esempio tipico. Ad un certo punto del Riassunto della Commissione contraria alla Basilica Ambrosiana, troviamo bollato come sognatore il Biraghi.

Ora noi non abbiamo mai potuto capire nè la ragione di tanto disprezzo di quell’uomo, e la ragione di mettere lui solo al bersaglio delle poco caritatevoli qualificazioni di cui quella di sognatore è un gingillo. Perchè p. es. separare Biraghi dal Proposto Rossi di S. Ambrogio col quale fu in comunione di lavoro, di vedute, di

sogni anche, ’riguardo ai ristauri e alle rivendicazioni della tradizione nostra per ciò che si compendia attorno a S. Satiro e S. Vittore? Perchè il Rossi è sempre lasciato nel silenzio quando si sa cosa ha scritto nella sua Cronaca Ambrosiana intorno ai detti Santi, e alla Basilica Fausta? Due pesi e due misure? Servitevi pure, ma allora cancellate dal vostro panegirico le mentite lodi di uomini dal lavoro sereno, spassionato, ecc.

E ancora quanto a Biraghi, si lasci se si vuole al Mommsen di lanciargli l’oltraggio; quel grande avrebbe se mai un’attenuante; ma i novizii in archeologia non hanno diritto di insultare maestri venerandi. Sì, maestro fu il Biraghi e tanto più degno di lode o di compatimento in quanto lavorò, osò, sognò anche, allora che i nostri sbarbatelli non erano ancora nati e nata da poco l’archeologia cristiana, allora che non c’erano ancora insegnanti insigni, libri, guide, scuole come vi sono oggidì, e un tesoro di esperienze, di scoperte, di criterii, di precetti, di rettifiche, di denuncie, di falsificazioni, di pericoli, di errori; ad ogni modo, ad un pioniere coraggioso, anche se sbaglia strada, anche se si smarrisce nella nebulosità di boscaglie selvagge, di lande sperdute lontano, va perdonato molto in grazia degli ardori sublimi delle sue audacie. Ma si che certa gente è in grado di assorgere a considerazioni così facili di senso comune, di giustizia, di gentilezza! Gli studii inaridiscono certi cuori, li rendono freddi, immiti, senza più fiamme di amore.

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ECHI E LETTURE


Anche la bandiera del governo provvisorio portoghese è... provvisoria; il rosso al sangue e il positivismo al verde cederanno il luogo al tradizionale bianco e azzurro: così anche quel provvisorio vessillo passerà negli armadi in attesa... di una rivoluzione avvenire. E deve essere così, infatti: «Una bandiera non si improvvisa!» aveva detto il signor Amedeo di Ponthieu nella sua interessante raccolta delle feste leggendarie: «ciò che la rende nazionale è la lunga e solenne consacrazione di tutto un popolo, ciò che la rende gloriosa è il suo battesimo di vittorie; è il fatto che essa fu durante parecchi secoli, il testimonio oculare dei più grandi sacrifici generati dal patriottismo. E a questo proposito la Francia ha il diritto di essere fiera dei suoi tre colori: essi hanno fatto il giro del mondo!». Ed infatti — ricorda la Croix du coeur — la prima bandiera francese, nota sotto il nome di cappa di S. Martino, consisteva in velo taffetas bleu ciel, sul quale era dipinto S. Martino, uno dei più antichi apostoli della Francia e apparve alla testa delle armate francesi nel 498 per il fatto che allora i re di Francia erano ereditariamente considerati come abati di S. Martino de’ Campi. Così il bleu simbolo della costanza, fu il primo colore francese. Più tardi i re di Francia erano diventati abati di S. Denis, e l’orifiamma rosso dato da Dagobert all’Abazia nell’anno 63o, succedette alla cappa di S. Martino e diventò lo stendardo della Francia. I re francesi adottarono infine il bianco per distinguere la loro bandiera da quella degli inglesi, poichè ai tempi di Carlo VI gli invasori avevano abbandonato il bianco, che era il colore di S. Giorgio, per adottare