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350 IL BUON CUORE


— E non c’è proprio speranza? domandò ansiosa, quando l’altro ebbe finito.

— Il medico ha detto di no.

— Oh! sì, i medici! E non sa ella dunque, povero giovane, che vi ha un medico lassù assai più savio, un medico che sovente guarisce anco i disperati e gli incurabili?

Rodolfo la guardò in viso, e lasciandosi cadere fra le mani la faccia.

— Ah! Se Dio me la volesse lasciare! sclamò.

— Ebbene, che farebbe ella?

— Che farei, sorella? c’è egli bisogno di dirvelo?

— Ecco come siete fatti voi altri. Buoni figliuoli, ma cattivi cristiani, ingrate creature. Bisogna che Dio ve le suoni a modo perchè pensiate a lui. Oh! mi creda, signore, incominci a volgersi a Colui che tutto può; faccia quel che farebbe se le promettesse la guarigione della sua fidanzata.

Rodolfo tacque alcuni istanti pensoso; poi disse:

— Sorella, sull’onor mio, lo farò.

— Sta bene; e io vo subito difilato a mettere in orazione le mie sorelle e i miei orfani; vogliamo proprio far forza al cielo. Frattanto, giacchè non si deve trascurare i mezzi umani, passo dal dottor Gradi; lo conosce lei?

— Soltanto di nome. Credeva che fosse partito.

— Parte domani; ed io vedo in questo indugio un primo pegno che ci dà la Provvidenza del suo favore. Il dottor Gradi è un medico distintissimo, che ha studiato specialmente le malattie di fegato, e fece già delle cure maravigliose. Cred’ella che l’inferma lo riceverà?

— A una mia parola, non ne dubito punto.

— Sta bene. Ella vada dunque a disporla, che io non tarderò molto a trovarmi in casa Delrio col medico.

— Sì, vo; ma non tardi molto, sorella; pensi su che croce ella mi lascia.

Non passò un’ora, e il dottor Gradi, accompagnato dalla Suora, entrava nella camera di Clotilde, mentre Rodolfo, inginocchiato in un angolo del salottino, dove aveva avuto il primo abboccamento colla Delrio, pregava come non aveva pregato mai in tutta la sua vita. Dopo una mezz’ora, che a lui parve un secolo, s’aperse l’uscio, ed egli, rizzatosi in piedi, si trovò a mani giunte innanzi al dottore. II dottore Gradi era un uomo nel fiore della virilità, dalla fronte ampia, dallo sguardo intelligente, dalla parola concisa e sicura.

— Signore, diss’egli indirizzandosi a Rodolfo, l’inferma sta male, male assai, ma il suo male non è punto incurabile; se può prendere le acque di Vichy, ella è salva.

E troncando un’esclamazione di giubilo che stava per iscoppiare sulle labbra del giovane:

— Ma, non glielo nascondo, il difficile sarà trasportarvela. Il giudizio dato dal medico curante non mi stupisce; su quel letto essa si muore di sfinimento. Ho scritto un’ordinazione che bisogna eseguire a tutto rigore; si tratta di rianimare un cadavere. Le angosce morali, donde ebbe origine il male, si vuol cessarle all’intutto, togliendone subito la cagione. E, tostochè ne sia capace, si tolga la poveretta dal letto sul quale

agonizza, si trasporti in giardino, e quando le forze il consentono, a Vichy. A Vichy guarirà, non altrove.

Ciò detto, senza dar tempo a ringraziamenti, strinse la mano a Rodolfo, salutò Suor Maria ed uscì.

— Oh! Sorella, la salveremo dunque!

— Lo spero. Anch’essa, la povera figliuola, non domanda se non di vivere. Se avesse veduto che occhiata mi diede quando il medico le disse: che c’entra il morire? si tratta di guarire adesso. E se ella crede alla propria guarigione, è già una gran cosa, mi ha detto il dottore.

(Continua).

Religione


Vangelo della domenica seconda dopo la Dedicazione


Testo del Vangelo.

I Farisei ritiratisi, tennero consiglio per cogliere Gesù in parole. E mandarono da lui i loro discepoli con degli Erodiani, i quali dissero: Maestro, noi sappiamo che tu sei verace, e insegni la via di Dio secondo la verità, senza badare a chicchessia; imperocchè non guardi in faccia agli uomini. Dinne dunque il tuo parere: E egli lecito, o no, di pagare il tributo a Cesare? Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, disse: Ipocriti, perchè mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un denaro. E Gesù disse loro: Di chi è questa immagine e questa iscrizione? Gli risposero: Di Cesare. Allora egli disse loro: Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio.

S. GIOVANNI, Cap. 22.


Pensieri.

— Maestro, è lecito o no pagare il tributo a Cesare? — chiedono i Farisei e gli Erodiani a Gesù.

Gesù, il giorno prima, s’era mostrato molto geloso della gloria di Dio, scacciando dal tempio i mercanti che lo profanavano; risponderà dunque che non è lecito e allora ecco la possibilità d’accusarlo come un ribelle, un pretendente. E se risponderà di sì, contradirà se stesso. In ogni modo ci sarà da accusare!

Oh la costante rete tesa a Gesù da’ suoi indegni nemici!

Ma Gesù si fa dare una moneta del tributo e chiede: Di chi è quest’effigie e quest’iscrizione? — Di Cesare rispondono. E soggiunge Gesù: Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio!

Mostratemi una moneta. Una delle monete che avete ricevute come tali. Che cosa dà valore al pezzo di metallo? L’effigie, l’iscrizione di Cesare. Accettando il valore della moneta s’accetta anche l’autorità di Cesare. Se pagando il tributo la moneta aumentasse di valore si capirebbe la domanda, ma il valore della moneta non muta, pagandolo: dunque il problema proposto da risolvere è già risolto.

Cerchiamo di trarre qualche ammaestramento dalla parola di Gesù.