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342 IL BUON CUORE


Non basta consegnarli ad una serva
Credendo scaricare il grave peso;
La qual talvolta, libera e proterva,
Gli alleva molto mal, per quanto ho inteso;
Quel ch’essi fan -non cura e non osserva,
E da ignoranza ha il cervel guasto e offeso,
E a un tenuo fanciullo spesso nuoce
Coll’esempio non men che colla voce.


Ma sia pur savia, e sia dabbene assai;
Lo sperar che de’ figli abbia ad avere
Quella cura che tu di Ior non hai,
È una vana speranza, a mio parere;
Se avessi figli, io non vorrei giammai
Sperar ch’altri facesse il mio dovere;
E s’usa cosi, l’usanza è ladra,
E, a dir la verità, poco mi squadra.

(c. V).

LA SCUOLA DEGLI ANIMALI


La storia dei fenomeni, che presenta l’istinto degli animali, più che una pagina di curiosità dilettevole è un insegnamento, una scuola perenne per l’umanità. È una cattedra donde professori irragionevoli insegnano a discepoli ragionevoli.

Eliano racconta che gli Egiziani appresero la virtù ermetico-catartica del succo del leontodonte tarassaco, dal cane.

Cicerone nella sua opera sulla Natura degli Dei riferisce che gli Egiziani impararono a cavar sangue, ossia l’uso del salasso, dall’esempio dell’ipopotamo. 11 quale quando si sente soffocare, si squarcia con qualche punta aguzza una vena, e fatta sgorgare una certa quantità di sangue, a seconda del bisogno che sente, vi si corica poi sopra per arrestare l’emorragia e mediante la compressione rimarginare la ferita.

Secondo che scrive Galeno, l’uomo apprese l’uso del clistere dall’ibis, uccello che per rinfrescarsi e vincere la stitichezza, beve acqua a larghi sorsi e quindi se la immette col becco sotto la coda.

Lo stesso Eliano ci informa che i cani nel leccare le loro ulceri colla lingua, insegnarono all’uomo l’efficacia della saliva in moltissimi casi salutarissima.

I montoni, che sono travagliati dai vermini del fegato vanno a lambire colla lingua le pietre coperte di sale, deposti nelle orine degli altri animali.

Molti altri animali, quando sono afflitti da idropisia, vanno in cerca di terre ferruginose.

I cervi e le capre insegnarono agli antichi Cretesi la virtù vulneraria del dittamo. Lo dice Plutarco.

I1 più volte citato Eliano assicura che i serpenti ci additarono l’uso benefico del finocchio, come eccitante carminativo potentissimo.

Van-Helmont dice che noi abbiamo imparato a conoscere la virtù stringente della piantaggine dal rospo.

Kempfer e Garcias riferiscono che nelle Indie la mangosta si preserva dal veleno del serpente naja, mediante la radice di una pianta denominata ophior-rhaza mungos.

La donnola si preserva dal veleno degli aspidi colla ruta, e la cicogna coll’origano.

Il cinghiale medica le sue ferite coll’ellera, che vi si. applica masticata.

L’orso nella primavera si purga colla radice dell’aro.

Noi abbiamo preso dal cervo la bontà del cardo e del carciofo.

I cani, i gatti, e molti altri animali c’insegnano l’efficacia dell’astinenza e della dieta. Essi, quando hanno male, bevono molt’acqua e si astengono dal cibo animale specialmente, di cui sono ghiotti. Cosa che spesso non facciamo noi.

Stedmann vide le scimmie d’America ed i sapa jous della Guajana, quando sono feriti, andare in cerca di piante astringenti, masticarla ed applicarsele alle ferite per fare in tal modo stagnare il sangue, ed arrestarne la perdita.

Tralasciamo mille e mille altri curiosi fenomeni dell’istinto delle bestie, che riuscirono in ogni tempo di utilità grandissima all’osservatore, per tirare dai pochi che abbiamo citato una sola conclusione.

E la conclusione è un consiglio: impariamo dalle bestie. Molto abbiamo già imparato, ma molto ancora ci resta ad imparare da esse. Questo consiglio noi non facciamo che ricordarlo soltanto, perchè lo troviamo già registrato nelle Sacre Carte e lo sappiamo uscito dalla bocca del Divino Maestro, là dove ci ammonisce di essere prudenti come i serpenti, e semplici come le colombe. Estote prudentes sicut serpentes el simplices sicut columbce. (S. Matt. X, 16).

Lettere di A. Stoppani al P. Maggioni


Il Bene — l’ottimo confratello dovunque diffuso come voce fatidica del Pio Istituto pei Figli della Provvidenza e d’ogni opera bella e buona — ha pubblicato il seguente articoletto:

Coi tipi Oliva e Somaschi è uscito il volume: ANTONIO STOPPANI — nel XX anniversario della morte. (Lettere di A. Stoppani al P. Cesare Maggioni).

Una raccolta di lettere dell’indimenticabile abate Stoppani è una cosa preziosa. Queste lettere oltre al pregio peculiare di essere uscite da quel cuore e da quella penna, ne hanno un altro grandissimo, di essere dirette a un santo uomo come fu il P. Maggioni degli oblati di Rho. Esse sono gioielli di spontaneità, dove l’animo e il carattere dell’illustre geologo, si trovano specchiati come il cielo in limpida fonte.

Il volume — un elegante volume — esce per cura del nipote dello Stoppani, Angelo Maria Cornelio, che vi ha atteso con quell’amore diligente con cui già ha curato l’edizione postuma dell’Exemeron e con cui ha dettata la vita dell’illustre zio del quale fu compagno e segretario devoto e amatissimo. Il Cornelio fa precedere alle lettere i cenni biografici dello Stoppani e del P. Mag-