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IL BUON CUORE 341


era d’un giovine alto, biondo, elegante, ma in quel momento affannato, costernato, d’Augusto insomma il quale ripigliò:

— Venga, s’affretti; ella domanda di lei.

— Che vuol dire questa nuova commedia? disse Rodolfo indignato. E le basta ancora il coraggio di venirmi innanzi? E osa invitarmi a casa sua?

— Mel creda, signore: ella sta male, male assai e domanda di lei.

A queste parole Rodolfo finalmente capì; senz’altro cercare prese frettoloso la via che metteva a casa Delrio, pur camminando mormorava sordo fra denti:

— Scellerati! Se me l’hanno ammazzata, guai, guai a loro!

Mentre egli fa questo breve tragitto, gioverà dare un cenno delle novità che da un anno e più erano intervenute. La vecchia, sperando sempre nell’allontanamento di Rodolfo, nell’assiduità d’Augusto e nelle arti sue proprie, avea divisato di pigliare la pupilla alle buone, lasciando perfino sperare che, fornito il tempo della tutela, avrebbe potuto disporre liberamente di sè. Clotilde intanto continuava nel suo sistema di resistenza passiva, e Rodolfo, rassegnato ad aspettare, fermo però di non disertare il campo di battaglia, era riuscito a farsi nominar professore al collegio di marina. La Delrio, perduta ogni speranza d’allontanare il nemico, visto cadere a vuoto ogni suo artifizio, cangiata tattica, gittò via la maschera. A Rodolfo fe’ chiudere la porta in faccia, e a Clotilde dinunziò risolutamente che se lo dovesse levare dal cuore.

Le scene che allora incominciarono a succedere in casa Delrio sono più facili a immaginare che a descrivere. La vecchia, deposto ogni riguardo, diceva di tutto onde screditare Rodolfo; Augusto faceva la parte dell’amante tradito, disperato: la povera fanciulla era posta quasi ogni giorno a un vero supplizio. Tempestata dai rimbrotti dell’una, nauseata dalle smancerie dell’altro, desolata di non poter sostenere in nessun modo la fede del suo Rodolfo, costretta di celare a tutti il martirio che da dentro pativa, cadde in una specie di marasmo, che ben presto minacciò in quell’organismo delicato le sorgenti della vita. Soffriva e taceva; ma il pallore del volto, la macilenza, la fiacchezza della persona la tradirono. Erano tre mesi che Rodolfo non l’avea più veduta; tre mesi che la sapeva leggermente indisposta, ma non guarita. Certi sintomi inquietanti, certe parole del medico, aprirono finalmente gli occhi a’ carcerieri di quella innocente, i quali temettero di diventarne i carnefici. Il tutore, che in fondo non era cattivo, fu lui che osò proporre di appagare i voti di Clotilde, se mai questo mezzo potesse riaverla. La megera non osò far contro, e il figlio ubbidì alla ispirazione di farsi egli stesso messaggero di Clotilde a Rodolfo.

Questi giungeva sulla soglia di casa Delrio con un misto di disperazione e di furore nell’anima, che ad ogni istante minacciava di traboccare. Entrò in quella casa che pareva l’uragano; additategli dalla fante le stanze di Clotilde, vi si precipitò come cieco, urtando e stramazzando a terra, senza vederla, la vecchia Delrio, che si era a caso trovata sul suo passaggio. Passò oltre

senza badarvi, e giunto alla camera sospirata si fermò, spinse lievemente l’uscio ed entrò. Clotilde avea voluto per aspettarlo scendere di letto, e stavasene presso la finestra, piuttosto sdraiata che assisa nella sua poltrona, guardando il cielo. Rodolfo al primo vederla, s’arrestò fulminato e pensò: — Quest’ombra, questo spettro vivente è proprio lei?....

L’esile persona cadente per debolezza, il volto scarno, assottigliato, perduto quasi entro il ricco volume dei capelli, il giallore proprio della malattia di cui era tocca... la povera Clotilde non era che un’ombra di se medesima. Su quella faccia pallida, scarna, non c’era più di vivo che gli occhi, due occhi grandi, espressivi, amanti, sulla cui bellezza il male non avea potuto ancor nulla. La malattia stenta a trionfare della gioventù, sua naturale nemica; la gioventù lotta lungamente e sotto lo spietato artiglio del morbo rimane ancor bella.

Rodolfo signoreggiando se stesso, fece alcuni passi verso di lei che gli tendeva due mani trasparenti e dolcemente gli sorrideva. La guardava muto e pieni gli occhi di lagrime.

(Continua).

Educazione dei figli


A credere si dan d’aver finito
Ogni dovere ed ogni grattacapo
Molte femmine quando han partorito,
Le quali han voto stranamente il capo;
Ma costoro s’ingannano a partito,
E non san ben che allora son da capo,
O, per dir meglio, allor comincia il buono
Nè han da lasciare i figli in abbandono.


Hanno da far co’ propri figli quello
Che fa co’ suoi pulcini la gallina,
Che li difende da ogni tristo uccello,
E per loro s’affanna e si tapina;
Han da improntare in essi il bel suggello
Della religion santa e divina;
E non passar, come oggi far si suole,
Il tempo in giochi, in veglie, in ciance, in fole.


H2n da educar per legge naturale
Le femmine volgari e le matrone
I loro figli; e a lettre di speziale
Quest’obbligo il Signore ad esse impone;
E dice un santo Padre che, del male
Che per mancanza d’educazione
In questo mondo i figli avranno fatto
Renderanno le madri un conto esatto.


Se nomino le madri, io non escludo
Per questo i padri; anch’essi han da vegliare
Sopra la loro prole; ond’io conchiudo
Che chi ha figliuoli, ha molto da pensare;
E ben mi raccapriccio, agghiaccio e sudo
Quando ripenso a quel che si suol fare
Da’ genitori, o per dir meglio, quando
Quel che non fassi vo considerando.