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IL BUON CUORE 333


siamo fabbricare con paglia, con argento, con oro... pensiamo a quel che solo dura e regge al purissimo fuoco dell’amore divino e della divina verità.

Riandando la mia vita spirituale, noto che quello fu uno, uno dei primi, di quei momenti di grazia che fanno epoca per un’anima, che segnano uno di quegli istanti che hanno qualcosa di decisivo, di solenne... Perchè non risposi subito, non risposi appieno a quella e alle successive rivelazioni di una vita interiore purissima ed eccelsa?

Ma quelle furon chiamate divine a tante creature, a tante anime.

Che almeno qualcuna di esse abbia risposto, risponda, fabbricando con oro e con gemme immortali la propria eternità.

Sia questa opera misteriosa di salvazione — nascosta agli uomini, ma splendente, ma radiosa agli occhi di Dio — il divino diadema dell’apostolo.

- Formare un santo e poi morire — diceva questa questa santa anima sacerdotale.

Che molti, molti santi possono testimoniare con la vita loro l’efficacia spirituale di un uomo del Signore!

Che il ricordo di quel momento di grazia, che anche ora, dopo tanti e tanti anni, torna così vivamente alla mia memoria, mi stimoli, mi aiuti a, portare il mio pratico tributo di riconoscenza a quello spirito che allora parlò all’anima mia,... che misteriosamente le parla anche ora.

Luisa.

AMOR VERO


RACCONTO


I.


È notte chiusa. Da una nave da guerra, che gittava testè le ancore rimpetto alla rada di B., staccasi un palischermo, mette a riva un ufficiale, e rapido come saetta ritorna colà donde era partito. L’ufficiale è un giovane sui ventisei anni, dal maschio e bruno sembiante, bello, svelto, ardito, quell’aria aperta e franca così propria dell’uomo di mare. Appena giunto, egli s’avvia difilato verso una casa che non è quella dei suoi, ma che non gli è meno cara, dove è certo di giungere aspettato, desideratissimo. Ma la porta, contro l’usato, è chiusa; batte e niuno risponde; dal pian terreno alle soffitte non si vede lume, non si sente anima viva. — Che sarà? che può esser egli mai accaduto? dove possono essere andati? pensava tremando Rodolfo; e, strano a dire, al veder chiuse e scure quelle finestre, dietro le quali poco prima sperava di veder passare l’ombra d’una cara persona, non sospettava, nè un’assenza, nè un viaggio: — Per di qua, diceva, è di certo passata la morte!

Pensava e fremeva. E visto passare a caso il fattorino della posta, gli tagliava bruscamente il passo e lo interrogava:

Fermati; dimmi subito il perchè casa Nelli è chiusa.

— Perchè? fece l’altro tutto spaurito.

— Sì, perchè? in tua malora! ripetè l’uffiziale afferrando con mal garbo la spalla dell’uomo, da cui aspettava una parola di vita o di morte.

— Perchè la è morta, signor uffiziale.

— Chi morta? spiegati,

— Oh bella! la padrona. Ma non mi attanagli così colle sue dita di ferro.

— Morta!... la Nelli è morta!...

— Sì, morta. Che bella novità! non ne muore tutti i giorni della gente?

— Sì... ma quella?... ma l’altra?....

— Che vuoi mai ch’io sappia di quell’altra? E datosi una scossa ammodo, si svincolò da quella stretta e scappò via.

Rodolfo costernato, s’avviò alla casa del fratello suo, dove il mistero si sarebbe finalmente svelato, e così fu. Colà venne a sapere, che la Nelli era morta quasi repentinamente tre mesi prima, dopo scritta a lui, suo futuro genero, l’ultima lettera.

La figlia, Clotilde, viveva in casa del tutore, sig. Delrio, chiusa e custodita a chiave dalla tutrice, scontentissima, a quanto dicevasi, della sua nuova condizione.

Udite queste cose, il giovane un poco si riacquetò. La morte della madre era una grande sventura, ma Clotilde era sempre libera, egli avea fede in lei e non prevedeva ombra d’ostacolo.

Essendo l’alba vicina e non sentendosi sonno, non volle coricarsi, ma passeggiava di su in giù la camera, alimentando le sue speranze con dolci ricordi del passato. Rivedeva col pensiero due case antiche, strette l’una all’altra così amichevolmente da parere una sola. Da dentro le divideva un semplice assito, il pozzo era comune, e un muricciuolo, che in primavera cuoprivasi di campanule d’ogni colore, pareva posto a bel fine di facilitare il passo dall’uno all’altro dei due giardini. Rodolfo aveva assistito, ancora in gonnellino, al battesimo di Clotilde, e poichè i loro genitori erano in istrettissima relazione, così Clotilde e Rodolfo non avevano ricordi che non fossero ad ambidue comuni. Si davano la buona sera battendo l’assito; dall’alto del muricciuolo si stringevan la mano; Rodolfo costruiva carrozzine e gondole per le bambole di Clotilde, Clotilde lavorava cinture e borsellini per Rodolfo.

La loro prima separazione fu quando Rodolfo, coll’idea di diventare ben presto guardia marina e morire a suo tempo grand’ammiraglio, superbo della nuova assisa che vestiva, partì pel collegio.

Traversando un ombroso viale, aveva udito un singhiozzo mal soffocato, e una manina bianca aveva lasciato cadere nella sua una borsa assai mal ricamata, ma ricamata proprio per lui. Rodolfo riposta la borsa e non sapendo che altro dare in ricambio alla sua cara vicina, strappò dalla nuova assisa un bottone e consegnandolo a Clotilde:

— Tè, Clotilde, le disse; io serberò la tua borsa, tu fa di non perdere il mio bottone.

A queste ingenue scene d’infanzia che lo facevano sorridere, altre ne sottentravano che gli davano da pensare: il ritorno dal collegio, le nuove grazie e l’amor