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330 IL BUON CUORE


Questo avviene nelle città, dove il contatto cogli elementi più bassi della popolazione li guasta, e nelle campagne dove l’isolamento e la mancanza di qualsiasi pratica e ricordi dei principi morali e religiosi li abbrutisce.

In questa opera non esitiamo ad affermare che l’Italica Gens sarà per divenire lo strumento unico veramente efficace. Infatti, dei buoni parroci italiani che si propongano quello scopo e che vi attendano con zelo, possono rendere servizi inestimabili; nessuno come il sacerdote della stessa patria, che parla la stessa lingua, che conosce a fondo lo spirito dei suoi concittadini, può trovare fra di essi corrispondenza benevola e deferenza ai consigli con cui egli, disinteressatamente, per coscienza ed amore nell’adempimento della sua missione, si propone di aiutare i suoi parrocchiani negli interessi sia economici che morali.

E, come già abbiamo altrove osservato, l’Italica Gens potrà contribuire grandemente alla soluzione del problema della conservazione della lingua. Il Governo farà opera d’alto interesse nazionale se sussidierà su vasta scala le scuole parrocchiali, quelle già esistenti e quelle che si spera, colla buona volontà del clero italiano in America, di far sorgere numerose dovunque, perchè sovente è l’aiuto materiale che ad esse manca per andare avanti o per divenire più floride. Nella recente discussione alla Camera sulle scuole italiane all’estero risultò che tal pensiero ora opportunamente informa l’indirizzo del Governo e della rappresentanza del Paese, e la coscienza di ogni buon italiano di qualsiasi partito o credenza religiosa. Giustamente osservò il Ministro Di San Giuliano a proposito dei sussidi da darsi a quelle scuole, che «l’italianità delle scuole è il fine; la scuola laica e la scuola confessionale è solamente il mezzo, perchè oltre il confine non è concepibile altro sentimento che quello della patria».

Da questo rapido sguardo si può desumere che molto resta ancora da fare, perchè l’emigrazione italiana si possa dire bene assistita ed indirizzata, e questo nonostante che nessuna grave mancanza possa addebitarsi alla nostra legislazione al riguardo. Ciò mostra come effettivamente il problema amigratorio deve attendere dall’iniziativa privata le cure ed i provvedimenti che valgano a darle quell’impulso che può moltiplicare ed accelerare i suoi prosperi risultati, nell’interesse inseparabile degli Italiani emigrati e dell’Italia.

Al Governo pertanto spetta sorreggere, rinvigorire queste iniziative, che da esso attendono l’alta ispirazione ed il giusto orientamento. Non esitiamo a dichiarare che vi è per tal riguardo, in questo momento, motivo di bene sperare in una attività feconda ed illuminata, di cui già si vedono i segni in un risveglio dell’interesse del paese al grande problema, per la presenza al Governo, sia di Luigi Luzzatti, il quale anche in questo campo si è acquistato insigni benemerenze, essendosi per opera sua, in gran parte, instaurato tutto il sistema di tutela della nostra emigrazione; sia del marchese Di San Giuliano, ministro degli Esteri, il quale ha sempre portato alla questione valido contributo di pensiero e di azione: egli si è sempre adoperato per

promuovere vincoli di affetto fra gli Italiani d’Italia ed emigrati, onde ottenere quella completa fusione di sentimenti che, affratellando gli uni agli altri deve condurre alla formazione di un’unica più grande Italia.

Egli chiudeva poco fa il suo discorso alla Camera dei deputati con queste belle parole: «Io so che intanto, a questi cinque milioni di Italiani che sono sparsi per tutto il mondo, l’azione continua del Governo in favor loro, il voto probabilmente unanime che voi darete su questa legge, il saluto che ad essi mandano oggi il Governo ed il Parlamento italiano dicono che la Patria lontana non li dimentica, e non vuole essere da loro dimenticata, li ama e vuole essere da loro amata; è fiera ed orgogliosa di loro, e vuole che essi siano fieri ed orgogliosi dell’Italia». Educazione ed Istruzione


Una scolara di Napoleone I


Uno dei più grandi e fidi amici di Napoleone I fu il rinomato generale Bertrand. Dopo aver seguito il suo imperatore nei campi di battaglia e partecipato alla gioia delle sue vittorie, ei non dubitò di seguirlo nell’esiglio, chiudersi con lui in sì breve sponda, e confortarne i supremi dolori fino agli ultimi istanti. E il generale aveva seco la sua famiglia di cui cara e bellissima parte era una fanciulla in sugli undici anni; briosa, vivace come una farfalletta; avvenente così che Raffaello da Urbino non avrebbe saputo dipingere cosa più bella. Ma i genitori della bambina, nel cui petto in verità la Religione e il timor di Dio non avevano salde radici, poca cura prendevano della educazione religiosa della loro figliuola; la quale perciò veniva su un po’ scapata e vanerella, e altro non amava che trescare, correre e darsi da mane a sera allo scioperìo.

Un dì l’Imperatore chiamatala a sè: — Figliuola mia, le disse, tu cresci come una bestia; sei cristiana battezzata e non sai nulla di catechismo; neppure i Misteri fondamentali della nostra Santa Fede. Quel che è peggio, sei bella; anche più bella fra qualche anno tu ti farai. Che sarà di te se la Religione non viene a premunirti, a fortificarti contro i mille pericoli ai quali i naturali tuoi pregi ti esporranno? Odi, fanciulla: io prenderò a fare verso di te quello che i tuoi genitori dovrebbero. Vieni da me fino da domani e io ti darò lezioni di catechismo.

La fanciulla che, a vero dire, aveva cuore eccellente obbedì all’invito del grand’uomo e più volte la settimana partivasi dal suo palazzetto di Hut-S. Gate e col libro in mano recavasi a circa un miglio di distanza ove abitava l’Imperatore. Non è a dirsi il diletto che questi prendeva nell’istruire la fanciulla nelle cose di Dio, la saggezza degli ammonimenti, lo zelo che spiegava nel