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290 IL BUON CUORE


città, idearono la creazione d’un Istituto Superiore, per elevare il grado d’istruzione tra i giovani ecclesiastici e per dare ai laici la possibilità di fare i migliori studi senza uscire dal loro Cantone; ma solo per la potenza personale del Cardinale Borromeo il bel disegno potè essere effettuato. I Lucernesi compirono, con acceso entusiasmo, i maggiori sacrifici per la fondazione del loro Istituto e tutte le famiglie e perfino i domestici a questo scopo dettero le loro economie. Il duca Emanuele Filiberto di Savoia promise il suo appoggio ed Enrico III di Francia, allorchè gli si fece comprendere che l’Istituto sarebbe stato vantaggioso agli interessi francesi, si obbligò a pagare una forte somma annua. Nel 10 maggio 1577, veniva conchiuso il trattato formale per la creazione del collegio ed il consiglio destinava per esso il più bell’edificio della città, chiamato «palazzo Ritter» e che Luca Ritter aveva fatto costruire verso la metà del secolo, in stile del Rinascimento. La fondazione di quest’istituto, diretto dai Gesuiti, assicurava alla Svizzera cattolica un centro scientifico della massima importanza.

Il Cardinale Borromeo ebbe pure a procurare la fondazione del Collegio dei Gesuiti a Friburgo ed infatti si dove alla sua attività prodigiosa se furono vinte alcune incertezze e quindi se si ottenne, nel 25 febbraio 1580, la Bolla di Gregorio XIII per la creazione di esso «in segno d’amore particolare per il popolo di Svizzera, nella città di Friburgo» per il miglioramento spirituale delle anime, l’istruzione dei giovani e la guerra all’eresia. La scuola s’apri nell’autunno del 1582 e da allora le famiglie protestanti che ancora rimanevano in un certo numero sulle rive della Sarina, o dovettero rientrare nella Chiesa cattolica o abbandonarono il paese e, come Lucerna era divenuta la cittadella del cattolicismo, nel territorio dei cinque Cantoni, Friburgo aspirava alla gloria di divenire, nella parte occidentale della Confederazione, la fortezza inespugnabile della Chiesa rigenerata. E sembra anche che, proprio per suggerimento e desiderio vivo del Cardinale Borromeo, i cappuccini si stabilissero, da quei tempi, nei paesi delle Alpi; ad ogni modo è certo che egli, da Roma, appoggiò fervidamente i desideri del colonnello Walter Roll e gli sforzi di altri, perchè — com’egli diceva — «questi monaci, col loro zelo per il bene, la vita semplice ed esemplare, potevano essere utilissimi per sradicare il male, diffondere il bene e far progredire i costumi cattolici». I cappuccini si conquistarono subito la stima e l’affetto delle masse popolari e, per mezzo della predicazione, collaborarono efficacemente all’opera della rinnovazione cattolica.

Ma S. Carlo Borromeo vagheggiava anche di formare un Collegio Elvetico, sul modello di quello Germanico di Roma, un collegio speciale per la formazione del clero da destinarsi alla Svizzera e alla Rezia e non ebbe pace finchè Gregorio XIII (1572-1585) non s’entusiasmò della sua idea e nel I° giugno 1579 non firmò la Bolla per la sua fondazione. Nell’Istituto Elvetico, a cui il Papa assegnò fin da principio, 2400 scudi l’anno, dovevano essere accolti gratuitamente 50 giovani dei diversi Cantoni perchè fossero istruiti nel latino, greco
ed ebraico, nella logica, filosofia, teologia e diritto canonico e perchè ricevessero infine, dall’Arcivescovo, i gradi accademici e la consacrazione. Ogni alunno doveva obbligarsi, col giuramento, d’entrare nello stato ecclesiastico ed esercitare un giorno, nella sua patria un’attività conforme agli ordini dei suoi superiori ecclesiastici. Da questa potente, ardita idea di combattimento e di forza, accesa dalla volontà ferrea ed assoluta della vittoria, per il trionfo della contro-riforma nella Svizzera, doveva scaturire tale frutto, nella vita di quei tempi, da poter comprendere come un nunzio romano potesse dire, più tardi, coll’enfasi d’un classico ricordo: «Uomini e teologi di valore sono usciti dal Collegio Elvetico come da un cavallo di Troja».

Il Cardinale Arcivescovo Carlo Borromeo moriva il 3 novembre 1584, dopo aver consacrato la vita pura, meravigliosa d’ardire e d’operosità al trionfo del Cattolicismo in tristi tempi di corruzione, d’eresie e di fiere lotte e dopo aver sparso abbondanti e fecondi semi di virtù nobilissime.

G. M.

I DOTTI CREDENTI


I.

Biagio Pascal.

Vi fu un giovinetto che di dodici anni, con seste, squadre e circoli, avea dí per sè trovate le matematiche, e che, senza l’aiuto di libri, con sole sue forze, era arrivato a scoprire ed a dimostrare le proposizioni del primo libro d’Euclide fino alla trigesima seconda; che di anni diciannove ridusse a macchina una scienza che tutta quanta esiste nell’intelletto; che di ventitrè dimostrò i fenomeni del peso dell’aria, e distrusse uno dei grandi errori della fisica antica; che in quella età in cui gli altri uomini hanno appena terminato di nascere, avea finito di percorrere il circolo delle scienze umane; che da questo momento fino alla morte avvenuta non compiti ancora gli otto lustri dell’età sua, sempre infermiccio e languente, perfezionò la lingua che scrissero Bossuet e Racine; che, senza presumere di scolparlo de’ suoi falli, fu nel tempo istesso anima pia, e sulla Religione scrisse pensieri profondi, ed alla superbia umana tremendi. Questo ingegno spaventoso e credente chiamossi Biagio Pascal!


II.

Benigno Bossuet.

Vi fu tale che ebbe eloquenza si potente da non esservi chi gli potesse resistere, e non fosse da lui trascinato sulla sua via; che, nel cospetto del più grande ed orgoglioso monarca del suo secolo, annunziò con maestà di eloquio terribile la sua grandezza non esser altro che misera e fatua vanitade, un sogno la sua potenza, lui stesso polvere e cenere, ed il suo trono una tomba; che, come affacciatosi sull’orlo degli abissi dell’eternità, mandò lungh’essi parole solenni di tempo e di morte; che dettò un discorso sull’Istoria universale con un andare maestoso, con una dicitura grave, con una sintesi sublime; che, facendo una rivista per ogni angolo della terra, chiamò dal sepolcro per interrogarle tutte le generazioni che vi sono passate; che di ogni luogo conobbe storia, tradizioni, riti e costumi, e fu patriarca sotto la palma di Tophel, ministro alla corte di Babilonia, sacerdote a Memfi, legislatore a Sparta,