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286 IL BUON CUORE


ponente manifestazione religiosa — una seconda Pasqua — malgrado il recente immane disastro cagionato dal ciclone stato senza confronto più brutale per quella terra, e senza sentire piagnistei o querimonie di sorta. Sotto un sole ardente camminai fino alla Madonnina d’Alzate, che sapevo in ristauro. Difatti l’interno era una selva di antenne e larghe altissime impalcature nascondevano gran parte della volta.

Manuali, fabbri, imbianchini, pittori lavoravano febbrilmente ad un ristauro radicale dell’interno. Una parte — quella dell’abside maggiore in alto — era già ultimata e scoperta; e vedevasi bene la fine ornamentazione che seguiva le linee architettoniche o chiudeva in capricciose cornici, figure di santi e di angeli. Il lavoro più intenso ferveva al centro della volta dove il pittore lavorava a fissarvi una bella Assunzione che figurerà assai bene. Del resto, ovunque era già segnato il da farsi, che non sarà poca cosa; tutte le pareti, la volta saranno popolate di celestiali figure di santi, o corse da intrecci ornamentali di festoso effetto.

Certo, quel giorno il lavoro era ancora ben lontano dall’essere finito, ma oggi che scrivo, ornai il grosso e il più dell’opera si può ritenere ultimato. Si capisce: il tempo vola, e la data della consegna e inaugurazione dei ristauri è imminente, l’otto settembre. In cui i festeggiamenti annuali saranno più solenni, straordinarii, appunto per ragione dei ristauri, che anime divote promossero con incitamento di parole e di denaro, certo senza lesinare e con generosità che fa loro onore. Il novello Proposto di Alzate assecondò l’entusiasmo dei suoi parrocchiani. Da quell’entusiasmo fu preso interamente fino da quando sentì parlarne la prima volta; ed ora vigila, sprona, dirama appelli, notizie, inviti, tiene vivo il foco sacro, farà precedere la festa da un solenne triduo preparatorio, tutto allo scopo di far riuscire più imponente possibile la Festa dell’8 prossimo settembre. La fiera annuale farà il resto per assicurare il maggior intervento di persone.

Ma è curioso però che il popolino per questo, come del resto per tanti altri Santuarii, conceda la sua venerazione, la sua fiducia, il suo obolo, senza tampoco preoccuparsi di una nitida idea storica intorno alla Madonnina di Alzate. Si appoggia, si fida, si abbandona ad una tradizione che passa da secolo a secolo, da una generazione ad un’altra, da padre a figlio, che si intensifica nelle grandi calamità; che scorre placida, indisturbata tutto l’anno per svegliarsi ad un palpito, ad una fiamma più viva ad ogni ricorrere anniversario della Festa.

Fu pertanto lodevole pensiero quello del Lanzi (un Alzatese, almeno d’adozione?) e segno di nobile civismo quello di raccogliere dagli Archivi di Alzate le note storiche riguardanti la «Beata Vergine del Rogoredo» comparse in popolare opuscoletto e diffonderlo tra il popolo.

Di già che ci sono queste memorie, non sia discaro neppure ai lettori del Buon Cuore di conoscerle; non foss’altro, a titolo di erudizione e per una curiosità di più, nei riguardi di certe evoluzioni raligiose.

Come quasi tutti i celebri Santuarii, così anche quello

di Alzate cominciò da untilissimi principii. Nel 1533 veniva data ordinazione della pittura murale che oggidì figura sopra l’altar maggior del Santuario; da chi, a quale pittore, a quali condizioni, non è detto. «Dapprincipio fu dipinto in corpo in un piccolo muro scoperto, in vicinanza della strada, che anticamente era avanti alla suddetta Immagine; e così dalla polvere eccitata dai passeggeri e condottieri, rimase oscurata la parte inferiore dell’Effigie, concorrendo l’umido a conglutinare la suddetta polvere; e così oscurata per la suddetta cagione, fu imbiancata ai tempi successivi, essendovisi trovata calce e loto».

Il dipinto rappresenta la Vergine seduta e reggente sulle ginocchia il Bimbo; di dignitosa compostezza, di atteggiamento calmo e sereno, espressivo per bellezza spirituale tutta la composizione; bellissimo il volto di Maria; corrette le linee delle figure; la solita evanescenza dei colori rosso e verde dominanti.

Circa il 1600, il tabernacoletto rizzato all’aperto ed esposto a tutti gli oltraggi possibili degli uomini e degli elementi, lo troviamo chiuso in un piccolo tempio, che appunto per le ridotte dimensioni il popolo chiamava Gesiolo, e intitolato Madonna della Neve. Fin d’allora il Santuarietto attirava la divozione degli abitanti, e le funzioni che vi si compivano, assumevano una maggiore solennità nel giorno della Natività di Maria Vergine, 8 settembre.

Nel 1625 il Gesiolo cambia nome un’altra volta prendendo quello di Chiesa della Madonna di Rogoredo; sessant’anni dopo si festeggiava la festa della Natività con organista, musici e coll’assegno di un custode della Chiesa, sacerdote alle.dipendenze della Parrocchiale di Alzate.

Nel 1686, per il crescente affluire dei divoti, attratti da grazie segnalate che la Vergine vi dispensava a larga mano, il Gesiolo si presentava troppo angusto; allora colle abbondanti limosine offerte dai pellegrini dagli Alzatesi, si incominciò la costruzione dell’attuale Chiesa, durando i lavori fino al 1700, nel qual anno tutto era ultimato. Nel 1752, in occasione della posa dell’attuale altare di marmo, il pittore Odisio piemontese, con ripetute lavature d’acqua e d’aceto riusciva a mettere in luce tutta l’Immagine della Madonna, restata tanto tempo nascosta oltre che con un velo, dalla patina formatasi sulla pittura per l’umidità e la polvere. In questo istesso anno si incorniciarono i quadri, si collocò l’ancona di marmo che domina l’altar maggiore; nel 1767 si applicarono le due portine di marmo alle entrate nel recinto dell’altare; nel 1777 si acquistarono tre campane dai Francescani di Cantù; nel 1778 si alzò il campanile; nel 1854, su disegno del Moraglia si costruì l’attuale facciata.

Il Santuario, all’esterno tuttora grezzo e annerito dal tempo, mostra un’ossatura da fortezza; certo i muri sono poderosi e sfidano le violenze degli uomini e degli elementi. Nell’interno, ora radicalmente imbiancato e dipinto, è tutta una festa di luce abbondante di tinte, di colori, di riverberi di ori, che si fondono in una tonalità mistica, vibrante di dolcezze religiose, di inesprimibili voci carezzevoli come una musica di Paradiso.