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IL BUON CUORE 279


non ebbe altro in mira quind’innanzi che un abbietto egoismo a cui soddisfare, una indegna passione da accontentare ad ogni costo.

Daisy ornai convinta di non poter più sottrarsi all’imperio d’una passione dichiarata, e conscia dal canto suo di essere un carattere tutt’altro che adamantino, si andava famigliarizzando a quello stato irregolare di cose, al vile tradimento di se stessa e di Colui che cento volte aveva protestato sarebbe stato l’unico suo diletto e sposo. Ogni giorno era un nuovo strappo alla sua antica coscienza, una nuova concessione al suo presente tiranno. Non mancava che Cecil Lionel una volta o l’altra, perduto ogni senso di moralità e di galantomismo, in un impeto di indomita audacia, si slanciasse a fare scempio d’una verginità ornai troppo in pericolo, perchè quel dramma avesse il suo naturale epilogo. E l’occasione venne; e Daisy un giorno, innanzi ad una seduzione che faceva gli ultimi disperati sforzi per prevalere su lei, stordita, inebriata, non trovò in sè la forza di vincere; e purtroppo la caduta fu miseramente consumata.... Ahi! il più bel fiore della corona gloriosa che cingevale la fronte, allora le veniva brutalmente strappato, calpestato sotto i piedi, gettato nel fango!

Il risveglio della coscienza dopo un fallo di questa natura, è subitaneo, amaro, brutale, seguito da un altro risveglio, da quello di lacerante rimorso, da gridi strazianti, da insensata disperazione, dai più insani propositi, non escluso quello di sopprimersi per sfuggire al disonore, all’esecrazione dell’opinione pubblica.

Daisy provò tutto questo; ma una riserva di energie morali; ma forse un segno di eccezionale riguardo e misericordia da parte di Colui che per tanti anni aveva pur servito lealmente e che, solo in un’ora di imprudenze inqualificabili, di rilascio non mai abbastanza condannabile di vigilanza, di riserbo, di preghiera, tradì, presa in mezzo e inebriata dai funesti veleni d’una atmosfera di sensualità, tutto questo la trattenne dall’aggiungere una colpa maggiore a quella già enorme commessa poc’anzi, la strappò al suicidio per vivere ancora, ma allontanandosi subito dall’infausto teatro del suo peccato, ma per darsi ad una troppo giusta penitenza ed espiazione.

Si può intanto immaginare come anche la Baronessa, come i genitori di Daisy, i soli che coi colpevoli e con Dio erano al fatto della caduta del loro angelo restarono sorpresi, costernati di quel fatto che gettava di riverbero tanta vergogna e tanta responsabilità anche su loro. Segretamente, purtroppo, trovarono delle attenuanti alla loro parte di colpa. Non avrebbero mai sospettato una tal fine, eransi anzi lusingati che la vicinanza dei due giovani, le nate simpatie, la passione che divampò come un incendio, avrebbero potuto, dovuto condurli all’ideale tanto accarezzato da ambo le parti — al matrimonio regolare....

Questa è la favola; ma affrettiamoci a soggiungere che non ha morale. Il fallo da noi narrato si ripeterà altre volte perchè l’esperienza degli altri non ci persuade; ognuno di noi vuol far su se stesso la propria esperienza dando luogo al circolo infinito degli stessi

errori sempre ripetuti, colla sola differenza della forma più o meno grossolana o raffinata o romantica.

Però sarebbe contro verità e giustizia il tacere che almeno i protagonisti approfittarono della dura lezione che scaturiva dal loro fallo. Sì, entrambi, in diverso modo, impararono qualche cosa.

Daisy immediatamente lasciò il castello e si restituì alla casa paterna per cominciare l’aspra penitenza che meditò potesse essere adeguata riparazione del suo peccato. E fu rigorosa, spaventevole, cosicchè presto quella sua superba giovinezza sfiorì per risolversi in una pallida ombra, in una forma vana, spettrale. Costantemente chiusa, volontaria prigioniera, nel segreto della sua casa, invisibile a tutti, macerava quel corpo, puniva quella sciagurata bellezza che le era stata così fatale. Una sol volta all’anno rompeva il ferreo sequestro, per andare pellegrina, il giorno anniversario della sua caduta, al castello di Blackbird tutta chiusa in negri veli, a rivedere il teatro odioso della sua colpa e la scena della sua caduta innanzi al quadro che il barone Cecil Lionel aveva fatto eseguire. Il rinnovato martirio di questo strano pellegrinaggio dovea far parte del programma di penitenza tracciata con tanta raffinata crudeltà. S’intende che nessuno dovea trovarsi presente a quella visita, molto meno il complice del suo peccato, che, sulla parola, dovea sparire ed assentarsi dal castello per tutto il giorno. Ma gli abitanti dei dintorni sospettarono la ragione di quella apparizione, e riconobbero sotto le gramaglie del più doloroso lutto quella che essi chiamavano la Maddalena di Blackbird.

Cecil Lionel si sottopose esso pure alla sua penitenza.

Si obbligo volontariamente a non sposare nessuna donna, e a vivere nella solitudine tutta la vita. Chi si era macchiato d’una viltà così odiosa, abusando d’una fanciulla inesperta nel calcolato momento di ebbrezza del cuore e dei sensi, e le aveva rapito ciò che ha di più prezioso non lasciandole che il disonore, non era più degno della stima e dell’affetto di nessun’altra donna.

Inoltre si fece dipingere quel quadro votivo di cui è parola più sopra, perchè il ricordo sensibile del male indescrivibile che avea fatto gli stesse ognora innanzi. Da ultimo fondò in Londra una istituzione pia, all’intento di venir in aiuto in tutti i modi possibili a fanciulle restate vittima d’un fallo come quello di Daisy. Il lascito che ammontava a qualche milioncino, fruttava un bel rotolo di sterline; e queste passavano o a formar doti per facilitare il matrimonio a fanciulle bisognose, oppure a rendere possibile e decorosa l’esistenza ad aspiranti a vita religiosa o a vita ritirata in famiglia. Il barone Cecil Lionel, sempre vestito a lutto pesante, come lo era Daisy, sempre preoccupato da un pensiero tiranno, sempre accigliato, non aveva altro svago, nella sua forzata vedovanza, che i libri. E trascinava la vita così; lui che, nelle sue condizioni finanziarie, e se fosse stato più galantuomo, avrebbe potuto passare un’esistenza felice.

Possa così terribile penitenza, quasi di due esseri maledetti, venir presa in conto anche per la vita d’oltre tomba, e computata a pieno saldo del debito.

Augusta Maxwel-Hutton.