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IL BUON CUORE 271


Educazione ed Istruzione


LA CADUTA DI UN ANGELO


(Continuazione vedi n. 32).


Ma un’altra spiegazione delle riluttanze di Daisy ad entrare a Blackbird stava nella rigidità dei suoi costumi, nell’estrema sensibilità di pudore onde era fornita da natura. È noto a tutti quale sia in genere il riserbo pudico, la severità della nostra gente contro qualunque libertà meno onesta, direi quasi la santa esagerazione che la fa inpennare, allarmarsi anche in presenza del più vago accenno a intemperante espansione.

Immaginate che in Daisy tutto questo fondo bono di contegno, di riserbo, di modestia, di purità, era elevato alla millesima potenza.

Era puritana nel più stretto senso della parola, e d’una intransigenza che non ammetteva discussione. E tutti i suoi sforzi erano diretti all’assurdo ideale di sopprimere affatto la materia, i sensi, la terra, e trasformare tutta se stessa in spirito angelico, vivente di sopranaturale, nutrita di visioni d’angeli, tra acque purificate, trasparenze di cieli azzurri, gigli immacolati. I domestici in presenza di lei dovevano pure star sulle guardie per tema di contristarla: un gesto meno castigato, una parola che appena accennasse anche da lontano, e senza l’ombra di malizia, a ferire comunque l’angelica virtù, bastavano a urtare la sua sensibilità morale, a farla impennare, farle soffrire le più atroci torture.

In casa si sapeva da tutti che subito che cominciò a svilupparsi in lei la cognizione e il senso consapevole del pudore, nè al bagno, nè alla toeletta intima non volle più neppure la vecchia cameriera destinata alla sua persona, che pure era tal donna che somigliava ad un rudere. Ed era voce di tutti come Daisy fosse davvero un angelo in carne.

Da questi pochi accenni si potrà immaginare l’eroismo del sacrificio al quale finalmente acconsentì, quando si vide nell’impossibilità di più resistere senza ribellarsi all’autorità dei parenti, e pronunciò il sì tanto aspettato.

L’accoglienza che ebbe dalla sua parente la Baronessa di Blackbird, fu delle più sincere ed affettuose; ne mancarono le promesse più ampie di libertà e indipendenza assoluta nel compimento delle pratiche religiose a lei più care.

Fatti così nel modo più franco e schietto i proprii patti, che del resto furono sempre lealmente rispettati, vi iniziò la nuova vita. E le settimane succedevano alle settimane, ed i mesi ai mesi in una calma claustrale, e in un’atmosfera sacra tutta profumata di misticismo, di innocenza, di purezza, di oblio della terra e delle sue miserabili passioni.

Ma ahimè! la pace assoluta non è di quaggiù; e si direbbe anzi che, per una legge fatale di natura, si svegli e provochi tempesta tanto più spaventosa, distruggitrice, quanto pìù profonda pareva essere la calma. Ma nessuno, nemmeno Daisy presenti in qualche modo l’avvicinarsi dell’uragano; si stava così bene

tutti! La Baronessa felicissima dell’acquisto di quella impareggiabile compagna, non rifiniva di gioirne in segreto; e a vista d’occhio scompariva il funereo pallore onde tutto era soffuso il bel volto, per lasciar succedere il roseo più delicato e sano; l’occhio riprendeva il fulgore glorioso onde era famosa tra le donne brittanne ai bei giorni di sua gioventù; tutta la persona si rianimava, riassumeva il regale portamento d’una volta; insomma, si avviava a gran passi al pieno ristabilimento in salute così compromesso dalla tremenda sventura che l’aveva colpita. E Daisy pure s’accorgeva di trovarsi in un elemento assai più gradito di quello che avrebbe pensato; più non rimpiangea, neppur in secreto, il fido ambiente della casa paterna dove a suo piacere poteva darsi alla favorita ritiratezza monastica, e dove gustò le sensibili gioie, le delizie della pietà, fino all’ebbrezza. Piuttosto dopo un certo lasso di tempo e inconsciamente presa, cominciò ad accomodarsi facilmente, purtroppo senza notarlo subito, a quell’assieme di agi leciti, ma punto necessarii, che sono così naturali in una gran casa signorile, e anche così snervanti; poi rilasciò alquanto della rigidità dell’orario del coricarsi la sera tardi e della levata per tempo alla mattina; ed anche la troppo spinta parsimonia a tavola, venne a trovarsi modificata; più modificata ancora la timidità, la specie di ribrezzo che mostrava in presenza dell’uomo, sopratutto se giovane; i casti rossori del volto non fiorivano più così rapidi a indicare gli allarmi della verecondia. E fino ad un certo punto, la Baronessa e i pochi ospiti del castello — tutta gente posata — ne godevano.

Giacchè era una pena vederla lottare tra una esagerata paura e un pericolo non sempre reale; tra una coscienza di tutto paurosa, e un dovere che andava diversamente interpretato.

Comunque, fu in questo periodo di tregua se non di rilassamento, che annunciato a diverse riprese da angosciosi telegrammi, rientrava al castello di Blackbird, reduce del suo viaggio in India, l’unico figlio della Baronessa e l’erede delle immense ricchezze rappresentate da quella tenuta, da due miniere di carbone vaste come un regno e da infiniti titoli di molte società industriali d’Inghilterra. Quel già splendido giovane, ornai ai suoi trent’anni, dopo un viaggio magnifico che aveva dovuto troncare perchè sorpreso da una fiera malattia intestinale aggravata da complicazione di altri mali, tornava, ma estremamente compromesso in salute, disfatto.

Al primo metter piede nel castello, il nuovo sire di Blackbird, Cecil Lionel, per conto suo trasse un sospiro di infinita gioia: il pensiero di ritrovarsi in patria, nella sua casa, vicino alla madre che lo idolatrava, affidato alle cure affettuose del più tenero cuore, gli metteva nell’animo un senso inesprimibile di contento e di fiducia. Ma ai domestici, alla Baronessa, a Daisy, quel misero non era che l’ombra d’un vivo, il fantasma di qualche lontano antenato venuto dai regni oltramondani per una visita fugace al palazzo di famiglia; costernazione, sgomento, infinita pietà, erano i sentimenti più acuti che tal vista aveva risvegliato.

(Continua).