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IL BUON CUORE 255


genitori in una grossa proprietà lontana dal castello di Blackbird parecchie miglia, conducendo una vita molto singolare, affatto in contrasto coll’età e anche colle doti esteriori, sopratutto con una avvenenza e una freschezza di gioventù straordinarie.

Quando i signori Keatinge ricevettero l’inaspettata domanda da parte della parente baronessa di poter avere con sè la loro figlia, più come figlia stessa, che come compagna, non seppero contenersi dal sussultare di segreta compiacenza. Non erano loro che avessero provocato quell’avvicinamento — e la dignitosa fierezza del carattere era in salvo — ma la parente più altolocata; dopo tutto valeva la pena di essere gentili con essa, anche perchè nel tenebroso non lontano avvenire pareva delinearsi una vaga probabilità che forse un bel giorno la loro figlia avrebbe potuto cingere la corona baronale.

Ma di questa ambiziosa speranza non fiatarono con alcuno, nemmeno colla figlia Daisy quando, all’annuncio che la baronessa di Blackbird la chiedeva, e loro avrebbero veduto con immenso piacere che le usasse una suprema gentilezza in tanto bisogno, si mostrò molto contraria e ripugnante.

Intanto l’avversione dimostrata dalla fanciulla sconcertava non poco i bei piani concepiti. Non si sapeva spiegare per quale capriccio o velleità non accogliesse anzi con entusiasmo la proposta che cento altre sarebbero state orgogliose di ricevere. Ma Daisy, colla sua condotta non si ribellava apertamente; solo teneva duro più che poteva a negare il suo consenso nella speranza che le pratiche cadessero da sè. Però anche lei alla sua volta non capiva come proprio a lei chiedessero quel servigio, malgrado che tutto il suo tenore di vita, le sue idee religiose avrebbero dovuto indicarla la meno adatta alla pietosa missione che era chiamata ad esercitare fuori delle sue consuetudini e della sua casa.

Certo, la casa della baronessa di Blackbird non era affatto nelle sue simpatie; benchè aristocratica corretta, secondo le leggi di decenza e civiltà in onore presso le persone di alta educazione sociale, tuttavia essa era luogo di dissipazione, di chiasso fastoso, e di raffinata mondanità, e di pericolo, per quanto la morte vi fosse entrata a dare i suoi moniti a molte teste mondane.

Già l’abbiam detto che Daisy conduceva nella casa paterna una vita molto singolare; essa, come altre donne inglesi propense da natura alla pietà ed al misticismo, aveva accolto con trasporto la risurrezione ardita della vita monastica altresì nella Chiesa anglicana; non solo, ma anche l’abbracciò e l’osservò per quanto lo poteva fra le mura domestiche, decisa ad entrare in un monastero femminile quando fosse stata libera di sè.

Ed era curioso vedere questa giovane, sprezzante del mondo e sorda a tutte le seduzioni incantevoli che sono irresistibili tentazioni per altri, dedicarsi con ardore passionato alla strana disciplina monastica come è praticata nei paesi cattolici, e come lo era anche in Inghilterra prima della Riforma.

Molto significativa questa nostalgia angosciosa del romanismo! Dopo tre secoli di torpore e di morte
apparente, il cuore riprendeva i suoi diritti e ricordava l’antica Madre e la sua Casa, e le forme belle di vita in grembo a lei; e rispondendo ai naturali inviti del sangue, a tanta distanza, in uno slancio impetuoso faceva ritorno a quel monachismo perseguitato e ucciso dalla prepotenza del più forte, e stato già il focolare della vita religiosa e delle glorie artistiche della mia Inghilterra!...

(Continua).



GIULIO TAVECCHIA


A 75 anni, nella sua graziosa villa Amalia, all’ombra del Santuario di Rho, vedovo da sole cinque settimane della diletta compagna della sua vita operosa e intemerata, ha reso la sua anima a Dio, rimpianto da tutti nel paese nativo e anche a Milano, dov’era pure assai conosciuto e apprezzato come uomo probo, attivo e benefico.

Giulio Tavecchia era giunto dall’Alfa all’Omega per le sue azioni, per il suo giusto intuito, per il suo buon senso. Così egli seppe approfittare dell’età buona per far tesoro delle sue energie, e riuscì presto ad occupare uno dei primi posti nei commerci e nelle industrie.

Mirando sempre a nobili obbiettivi, affettuoso colla famiglia che rispecchiava la sua tenerezza e la sua rettitudine, nelle vittorie cittadine non dimenticò mai il paese nativo, e Rho lo ebbe fondatore della Società del Gaz e patrono degli asili d’infanzia.

Benefattore illuminato, credente praticante, fu esempio preclaro, benchè modesto e schivo d’ogni onorificenza, delle più belle virtù civili, religiose e famigliari.

Era pio e fu ripetutamente provato dal dolore. Si compiaceva in due figli che avrebbero continuato le sue tradizioni; ma Dio li volle a Sè, e l’uomo giusto si rassegnò ai voleri supremi, profondendo il suo affetto alle figlie e ai nipoti.

Previdente in tutto, Egli tesoreggiò anche per l’al di là e si dispose all’estremo passo colla tranquillità del giusto che non ha nulla da temere.

I funerali si celebrarono giovedì coll’austerità da lui voluta e predisposta in tutti i particolari, e colla caratteristica delle note religiose e di beneficenza.

La popolazione di Rho convenne in gran numero alla mesta cerimonia colle rappresentanze delle società e degli asili.

Da Milano, con treno speciale, convennero pure molti cittadini e rappresentanze d’istituzioni benefiche.

Per volere di Lui, non si pronunciarono discorsi; ma il suo panegirico fu detto e ripetuto con lacrime e preghiere dai molti che seguirono il feretro elogiando il caro trapassato.

A. M. C.





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