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IL BUON CUORE 245


un altare al quale si sta dicendo messa da un celebrante in pianeta e cinto il capo da una tiara molto pronunciata, ora in piedi, ora in ginocchio, tanto davanti alla mensa come al fianco. La parte centrale della scena è occupata dalla figura mesta e dolorante del Salvatore, apparso sull’altare circondato da tutti i simboli della Passione. Ma nei particolari, da una riproduzione ad un’altra di questo motivo fondamentale, c’è una variazione infinita, a seconda delle bizzarrie, della fantasia e anche della pietà di artisti e committenti.

Una così esuberante fioritura d’un soggetto per sè non di prima importanza nella storia del dogma e dell’arte, potrà benissimo provocare la domanda: d’onde originò e il nome e la cosa. L’interesse del problema è tanto più grande in quanto che le Vite più note di S. Gregorio sono assolutamente mute su questo punto. Non c’è storico documento che accenni all’apparizione di nostro Signore passionato a S. Gregorio durante la Messa; nulla che anche da lontano valga a insinuare una tale idea. Il solo miracolo eucaristico ricordato nelle Vite di questo Papa è d’un carattere curiosamente definito e conservò la sua fisonomia sino alla fine del medio evo. E tale qual è, occorre narrarlo secondo la versione del monaco di Whitby nel Northumberland:

È storia corrente dei nostri padri che una volta a Roma una matrona, facendo l’offerta (alla Messa), la consegnò a lui (S. Gregorio), e il sant’uomo la prese la transustanziò nell’Ostia del sacratissimo Corpo di Cristo. E quando la donna salì per riceverlo nella Comunione dalle mani dell’uomo di Dio e lo sentì dire — Che il Corpo di nostro Signor Gesù Cristo custodisca la tua anima — essa rise di nascosto. Del qual atto accortosi l’uomo di Dio, le chiuse la sua mano in faccia, rifiutandosi di darle il sacro Corpo del Signore, cui pose sulla mensa e coprì con una tovaglia dell’altare come meglio credette conveniente. A Messa finita fece chiamare la donna e le domandò perchè avesse riso al momento di comunicarsi. Lei rispose dicendo: Io colle mie mani ho fatto quel pane, e voi diceste che esso era il Corpo del Signore. Allora sull’istante invitò il popolo di Dio a pregare insieme con lui in Chiesa, affinche Cristo, Figlio di Dio vivo si degnasse mostrare se il suo santo Sacrifizio (cioè l’Ostia) come pronunciò, era veramente il suo Corpo, allo scopo di fortificare la mancante fede di lei che fu incredula su questo sacramento. La quale preghiera debitamente fatta, il sant’uomo trovò sulla mensa ciò che vi aveva collocato come una porzione di carne in forma di un piccolo dito sanguinante. A questa vista maravigliosa egli chiamò la donna incredula e questa contemplandolo ne fu grandemente stupefatta. Cui il sant’uomo disse: Osserva ora cogli occhi del tuo corpo ciò che fin adesso nella tua cecità non hai potuto vedere coi sensi celesti e impara a credere a Lui che disse, se non mangerete della carne del Figliuol dell’uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete la vita in voi; ed inoltre egli esortò i presenti nella chiesa di pregare perchè Colui che aveva accondisceso di mostrar loro la sua Bontà come ne lo avevano richiesto, si degnasse ancora tramutare il suo Corpo nella sua propria natura, inquantochè essi avevano osato far
pressione soltanto per ragione dell’incredulità di una donna senza fede. E come essi fecero secondo aveva loro ordinato, la fece comunicare, mettendo ora tutta la sua fede in Lui dal quale era stato detto — colui che mangia il mio Corpo e beve il mio Sangue, dimora in me ed io in lui».

Come si vede, in tutto questo racconto non c’è nulla, proprio nulla che appoggi l’apparizione del Salvatore, circondato dagli emblemi della Passione, a S. Gregorio mentre celebrava Messa; ed è giusto che i critici abbiano trovato impossibile connettere la Messa di S. Gregorio colla leggenda della matrona romana. Che dietro la leggenda si debba vedere qualche fatto storico che non lasciò di sè nessuna traccia nella letteratura? Dom Alston per esempio dice:

«Interesserebbe non poco sapere come originò la apparizione di nostro Signore a S. Gregorio. Le antiche vite del Santo non la ricordano; i suoi scritti non forniscono indizii di sorta su quel fatto, e le più antiche pitture od altre rappresentazioni che oggidì conserviamo, non ci portano indietro oltre il decimoquinto o decimoquarto secolo. Tuttavia queste rappresentazioni, siano esse in manoscritti, libri stampati o freschi, tradiscono tante particolarità comuni a tutte per precisare la natura della visione, da essere costretti ad ammettere che almeno hanno qualche apparenza di autenticità... Il fatto che ogni esemplare conosciuto della Messa di S. Gregorio mostra elementi di composizione praticamente identici, sembra indicare che la tradizione fu accuratamente formata, e non è mera invenzione d’un’età più lontana».

Monsignor Barbier di Montault è anche più positivo; e non solo crede che questa rappresentazione insinua l’esistenza d’un fatto storico, ma vi dice di scienza sicura esattamente anche il luogo dove accade la visione la causa determinante. Quanto al tempo, era avanti la dedicazione della piccola Chiesa di S. Gregorio chiamata a ponte quattro capi, costruita sull’area della antica dimora della famiglia di S. Gregorio. E la località era sul monte Celio; in base ad un’iscrizione che, ahimè! data dal secolo XV in cui la Messa di S. Gregorio era già un soggetto tanto famigliare agli artisti, e molti altari di Roma reclamavano per sè l’onore dell’apparizione di Cristo Uomo dei dolori. Curiosa poi una citazione dal libro Horae di Poitiers e stampato nel 1491:

«Noi troviamo scritto che il nostro benedetto Salvatore Gesù Cristo apparve una volta al signor mio S. Gregorio, mentre era rapito in contemplazione alle secrete della Messa. Che considerando come tutta l’efficacia della remissione dei peccati procedeva dai meriti della Passione, concesse quattordicimila anni di indulgenza a quanti veramente pentiti e confessati, inginocchiati per terra innanzi alla rappresentazione della sua benedetta Passione, divotamente reciteranno sette Pater ed Ave, colle preghiere annesse. E in seguito, altri Papi concedettero in aggiunta, come si trova scritto, altre indulgenze fino ad aumentare a quarantamila anni».

A questa potremmo far seguire altra citazione da un libro di Harae del 1522:

«Vengono poi le sette orazioni di mons. S. Gregorio,