Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 30 - 23 luglio 1910.pdf/4

236 IL BUON CUORE


Jardin sous la pluie di Debussy, eseguita per la prima volta sull’arpa, fu suonata in modo veramente ammirevole e fu resa in tutta la sua estensione; ai toni caratteristici del pezzo furono ingegnosamente sostituiti altri specialmente propri dell’arpa...».


Hampstead advertiser, 2 giugno 1910.

«... Per il sig. Magistretti non vi è lode abbastanza alta. Schiettamente egli rese l’audizione sempre più interessante colla esecuzione perfetta; col suo magico suono, ci fece ricordare l’arpista dell’antica ballata «... Vi è nel suo magico tono un’incantesimo di suoni...» Egli suonò l’Andante e l’allegro dell’abate Rossi, la Toccata di Paradisi, la IV Gavotte di Bach, così meravigliosamente, che fu chiamato 5 volte nella speranza di riudirli, ma il sig. Magistretti non acconsentì. Dovette però cedere dopo la magistrale esecuzione della I Arabesque e Jardin sous la pluie di Debussy, prima esecuzione e trascrizione per arpa, perchè l’uditorio non volle saperne di rifiuto. Egli terminò col Impromptu del Fauré. Per il suo grande talento il Magistretti merita di essere annoverato fra gli arpisti di primo ordine, poichè egli è indubbiamente.padrone del suo istrumento...».

Di lui si parlò anche in occasione di un concerto dato dal Lord Mayor alla Mansion House, in onore dell’Arcivescovo di Westminster e dei Vescovi cattolici.

Il parigino Gaulois parlando del concerto dato a Londra all’Ambasciata francese dice: «Si vous ne connessais pas le nom de M. Magistretti, vous ignorez le nom d’un harpiste comme il y en a peu et que toute l’Europe applaudira demain. Il est jeune, mais des ces jeunes qui debuttent par des coups de maître....».

IL PIÙ DIGNITOSO


Da parecchio tempo assistiamo ad un giuoco veramente ameno: da una parte è una folla, senza numero, che spasima e delira dietro un uomo eccezionale; dall’altra, il festeggiato, l’idolatrato, colla massima disinvoltura e naturalezza, si presta a ricevere omaggi e adorazioni, accetta i trionfi come cosa intesa e dovuta, lui stesso anzi sollecita dimostrazioni e ricevimenti regali alle corti dei grandi, e porta attraverso a due mondi tutta la pompa di un re. S’intende che parliamo di Roosevelt.

Ora, tutto questo oltrepassa ogni limite di dignità e di modestia; e i più forniti di senso comune non tardarono a protestare, a segnalare l’umiliazione deplorevole a cui venivano trascinati gli attori di quella indegna commedia.

Uno dei più zelanti — per quanto possa parer sospetto — è Guglielmo Hearst, il Napoleone della stampa gialla, che non cessa d’assalire con tutta la violenza d’un rivale indispettito della fortuna dell’avversario, il grande festeggiato. L’ultima che gli giuocò è degna proprio di entrambi i contendenti. Un giorno adunque, come racconta il Cri de Paris, Hearst ricevette la visita di un gentleman impeccabile nell’abito e nel contegno che gli disse: «Ho incarico da parte di Roosevelt di dirvi che egli vi ritiene per il cittadino peggiore dell’Unione». Ma il grande pubblicista il dì seguente mandava a Roosevelt egli pure un gentleman impeccabile nell’abito e nel contegno, per dirgli che lo credeva «il più gran buffone della terra».

E, s’intende, dietro Hearst, quanti, che si sentono rivoltare da tanta teatralità compromettente il decoro, alzarono coraggiosi la voce a stigmatizzare, a impedire, a richiamare al senso di misura gli scalmanati.

Ma più che gli articoli di giornale o le conferenze, o le invettive, o il ridicolo, contribuì a mettere in evidenza la grottesca situazione di Roosevelt e suoi adoratori, il Conte di Torino, che compiuta in Africa un’azione parallela a quella dell’ex Presidente, non solo non si fece mai vivo durante le sue fortunatissime caccie africane, mentre l’altro con un braccio abbatteva fiere e coll’altro metteva sottosopra l’Europa e l’America scrivendo a giornali e amici; ma compiuto il ciclo glorioso, tornava in patria con una rapidità impreveduta a tutti e nel silenzio, nel mistero quasi d’un fuggiasco che abbia una vergogna o un delitto da nascondere; ci fu persino un’eccesso di modestia.

Certo non mancarono i confronti fra i due Nembrod reduci in così diverso modo dal teatro delle loro glorie cinegetiche; e la peggio toccava naturalmente a Roosevelt. Ma, tra tanti che l’idolatrano, fra tanti che protestano contro Roosevelt o colla parola o colla condotta, uno solo si condusse in modo superiore ad ogni accusa di abbietto servilismo, o di rancore, o sospettata affettazione: Quel bon parroco di campagna in veste di Pontefice, che non si prestò a servire da sfondo oscuro al quadro su cui intendeva profilarsi scintillante la figura di un ambizioso....

***

L’illustrazione del delitto!


Anche l’autore dell’ultimo delitto che ha sgomentato la cittadinanza ha avuto — da un giornale — l’onore dell’illustrazione. Non basta che dettagliate, minuziose narrazioni propalino in ogni casa (ormai il giornale entra dovunque; oh, se vi entrasse fattore di educazione!) l’eco della vita passionale e viziosa che s’agita nelle grandi città e nelle borgate, non basta; ci vogliono anche le fotografie degli assassini! E’ qualcosa che sgomenta se si pensa al fascino che il foglio stampato esercita sulle masse!

Esser letto, conosciuto (perchè non si riflette) pare un onore alla moltitudine ancora così poco civilmente educata, e chi sa dire lo stimolo che da tale provocazione può venire a spiriti deboli, oscillanti, già pericolanti — per tante ragioni — sull’orlo dell’abisso?

Non è prudente l’occultare il male; ma è saggio farne quasi un’apoteosi? Qual’è la ragione di queste fotografie di donne fatali e di uomini selvaggi; qual’è?

Oh, non altro che un mezzo per solleticare una curiosità malsana... e far quattrini!

Della efficacia della stampa giornaliera son convinti tutti; del suo atteggiarsi a educatrice del popolo si parla molto; della partigianeria d’ogni foglio non si discute: la verità esce bistrattata da tutte le parti, nessuna esclusa, ed è cosa triste assai, ma, forse, inevitabile.

Quando poi si arriva a solleticare le più brutali passioni, la più insana curiosità; quando, specialmente, quest’opera corruttrice viene da fogli che, all’occasione — han l’impudenza di parlare per la moralità — si resta nauseati e si sente il bisogno di chiedere quanti sono che si rendono conto della responsabilità grave che ognuno ha, in proporzione della propria cultura ed influenza — davanti alla massa del popolo.

La mia sarà forse una parola che farà sorridere altrui; a me esce dal cuore. Fosse pure una voce nel deserto, è voce sincera: trovasse anche un solo eco in un cuore non sarebbe stata parlata invano.



Ricordatevi di comperare il 17.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI che uscì in questa settimana.