Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 25 - 18 giugno 1910.pdf/4

196 IL BUON CUORE


non mandando tampoco un soldo del ricavo ai legittimi proprietari a Grenoble. Il procuratore della casa dei certosini scriveva a Parigi quasi tutti i giorni: Spedite mille franchi al tale.... o diecimila alla tal chiesa.... o alla tal scuola.... o al tale ospedale.... o al tal municipio.... E così sfumava il ricavo di due milioni all’anno del famoso liquore; come del resto allo stesso modo sfumavano le altre entrate dei certosini; mentre questi, pur milionarii, mangiavano a Grenoble l’istessa zuppa preparata da un vecchio gendarme divenuto il capo-cuoco della Certosa, e sempre cibi di magro, con cucchiaio e scodella di legno e bicchiere di stagno.

A chi lo desiderasse — di quei certosini milionarii, ma volontariamente fatti poveri e penitenti — potremmo offrire tutto l’orario della loro giornata, che è il seguente: Ore 6 levata, e fino alle 10 esercizii spirituali, cioè: ufficiatura, messa letta, visita al SS. Sacramento, meditazione, messa grande, lettura spirituale. Dalle ore 10 alle 15 ufficiatura di Nona, pranzo, lavoro in giardino, segare, tornire, leggere, scrivere libri spirituali. Alle 15 vespero e altri esercizii spirituali fino alle ore 16,30. Si torna in cella, alle 18 cena, poi compieta e riposo a letto alle 19. Alla una di notte levata per l’ufficiatura di mattutino fino alle 4; poi si torna a letto fino alle 6 per riprendere la giornata. Questa interruzione del sonno però è sopra ogni altra penitenza la più difficile, è una tortura a cui pochissimi riescono ad avvezzarsi cogli anni. Una volta per settimana passeggio in comune nella foresta in silenzio; alla domenica pranzo in comune.

Come si vede la vita certosina, deve essere ben dura, nessuno la invidierà, anche dei più teneri del loro famoso liquore....

a. l. m.

PRELUDIO1

Soletto siedo e del divin poeta,
che Fiorenza fregiò d’eterno onore,
sfogliò le carte. Una serena e queta
malinconia lenta mi scende in core,


mentre vola d’intorno irrequïeta
da l’ebano vocal nota d’amore
e s’eleva pel ciel, quasi sua meta
cercando in quel purissimo fulgore.


Ridon de l’arte a la mia giovin mente
i sogni e ancor ne l’ideale mio
e ne l’amor di una fanciulla spero.
Vaga stella, a me illumina il sentiero
mia madre e mi susurra dolcemente:
«I tuoi disegni benedica Iddio!»

Napoli, 17 gennaio 1886.

Religione


Vangelo della domenica quinta dopo Pentecoste


Testo del Vangelo.

Avvenne che nell’andare il Signore Gesù a Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando per entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili disse: andate, mostratevi ai Sacerdoti. E mentre andavano restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce, e si prostrò a terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci quelli che sono stati mondati? E i nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, se non questo straniero. E a lui disse: alzati, vattene; la tua fede ti ha salvato.

S. LUCA, Cap. 17.

Pensieri.

Leggiamo il passo evangelico che oggi è proposto alla nostra meditazione e disponiamoci a trarne frutti di vita per le anime nostre.

Dei dieci lebbrosi guariti da Gesù solo uno torna a ringraziare.

La storia è storia vecchia e sempre nuova!

Stretti dal bisogno ci affanniamo a cercar aiuto, protezione, consiglio: passato il momento della pena, del bene avuto non ci ricordiamo più. Il sentimento della nostra necessità, l’amore di noi, dunque, stimola le nostre richieste ed esse son vive, insistenti, costanti: ma non abbiam, poi, in noi, posto per l’umiltà, per la riconoscenza che porta al ringraziamento, che porta alla valutazione di ciò che abbiamo ricevuto!

Non c’è gratitudine a questo mondo! diciamo spesso; chi rammenta i benefizi ricevuti? Pochi, pochissimi e bisogna fare il bene per il bene, non per il compenso... che non si ha! Sta bene... ma abbiamo pensato mai quanto il rimprovero è meritato anche da noi?

Non abbiamo volto mai l’indagine nostra interiore a questa investigazione?

Osserviamo: noi facciamo tridui e novene per ottenere una grazia, e ringraziamo con un’Ave Maria!

Impieghiamo tempo considerevole per prepararci alla confessione e in due minuti ci spicciamo a fare un po’ di penitenza e a mormorare un Te Deum.

Preghiamo a lungo prima della Comunione e poi un quarto d’ora di raccoglimento ci è greve!

Oh, l’indice della nostra spiritualità non è dato dalle preghiere fatte per ottenere favori, ma ben più dallo sforzo interiore di dire a Dio la riconoscenza nostra per i misteri di redenzione ch’Egli compie nelle povere anime nostre.... Pensiamoci!

E l’unico guarito che tornò a ringraziare Gesù fu il Samaritano, lo straniero! Altro stimolo in questo fatto alla meditazione nostra.

Gli ebrei si ritenevano obbligati ad aiutarsi l’un l’altro, quindi i nove ebrei pensando che Gesù doveva guarirli, che guarendoli compiva un suo dovere, dona ad essi ciò che loro spettava di diritto, non capivan più nell’animo un solo senso di gratitudine. Il Samaritano non aveva questa coscienza de’ suoi diritti, egli si sentiva graziato, beneficato, sentiva di non aver meritato nulla



  1. Dai Canti dell’adolescenza di prossima pubblicazione, seconda edizione.