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IL BUON CUORE 195


gente il cavalcare riesce più comodo, e perciò li rimando così restando 6 persone ed un cavallo. Il trovare in poco tempo due abili portatori di lettiga non è difficile, e si vuole ad ogni costo andarli a chiamare, ma io mi oppongo anche a cagione della ristrettezza pecunaria in cui mi trovo. La paga delle guide, dei coolies, le spese del vitto, la buona mano al custode della casa, hanno talmente assottigliato il piccolo peculio portato da Siang-Jang che dovremo economizzare assai per non restare al verde prima di arrivare a casa. Alle 7 abbandoniamo Kai-chan. È nebbia e pioviggina, ma i miei uomini sono stanchi di questi monti e partirebbero anche con la pioggia dirotta. Anch’io lascio Kai-chan senza rimpianto.

Nel borgo di Tchangpin incontro il mandarino incaricato della pubblica sicurezza, mio vecchio amico, e ci facciamo un mondo di feste.

Mi dice che è là da mezzo mese, che ha già sofferto la fame più volte, e che solo da due o tre giorni ha potuto comprare tre misure di granturco. Povero amico! Che Budda e Maometto — egli è turco di origine — ti liberino almeno dalle zanne dei lupi e dei leopardi!

Attraversiamo il Siang-eul-chan e poi l’On-pan-chan e poi anche il Keon-cul-lin versante degli scimiotti, senza molta fatica. Il desiderio di uscire dalla tomba di questi monti e rivedere il bel cielo libero di Siang-Jang raddoppia la lena e le forze. La sera ci fermiamo a 20 km. da Nan-tciang nel luogo stesso dove facemmo colazione nell’andata a Kai-chan. Abbiamo fatto 100 ly=66 km. in 12 ore, varcando tre alti monti e passando una diecina di volte il letto del fiume. E dire che i miei uomini portano in media sulle spalle non meno di 100 libbre ciascuno1.

14 Settembre. — Ci moviamo appena fatto giorno, e io sprono il cavallo poichè voglio arrivare presto a Nan-tchang per dire la Messa.

I miei uomini mi raggiungono verso le 9. Riposiamo mezza giornata che la febbre della nostalgia ci fa parere un mese, e il giorno dopo, sebbene piova a intervalli, ci rimettiamo in cammino per l’ultima volta, e dopo una giornata e mezza di via rivalichiamo la soglia di casa nostra!

Siamo stati fuori 21 giorni: abbiamo fatto varie centinaia di chilometri di viaggio! Siamo saliti a 1700 m. di altezza, abbiamo attraversato o toccate 3 sottoprefetture. E dopo tutto non abbiamo avuto altro che due sole giornate senza pioggia!

Siang- Iang, 30 Settembre 1909.

Il famoso liquore sfuggito di mano

ai liquidatori della Gran Certosa


Dopo versati fiumi d’inchiostro sugli scandali della liquidazione della Certosa di Grenoble, chiunque potrà essersi fatto un concetto esatto del punto principale cui miravano le cupide brame del Governo, dei liquidatori e dei concorrenti all’asta della Gran Certosa. Il qual punto non era già lo stabile, d’un valore artistico e materiale, poco più poco meno, come altre proprietà congregazioniste; bensì il liquore preparato dalla distilleria dei monaci, la chartreuse.

Per sè, far l’occhio di triglia ad un liquore che tra i liquori gode di una riputazione sovrana, è naturale; e in ogni caso certe tenerezze non sarebbero solo di questi ultimi anni. Basti dire che — secondo riferisce il Paris Journal — molto prima che scoppiasse l’uragano contro le Congregazioni francesi, l’agente d’un gran giornale cattolico offriva al Priore della Certosa di Grenoble parecchi milioni allo scopo di ottenere per un dato periodo di tempo, la marca di fabbrica del famoso liquore; fermo che il segreto resterebbe sempre ai certosini, e che, due di essi, laicizzati, sarebbero rimasti alla testa della nuova azienda.

Comunque sia, il governo francese ebbe esso pure il suo debole per la chartreuse, e se ne slanciò alla conquista in una forma — purtroppo — meno cavalleresca di quello che si poteva aspettare dalla nazione più cavalleresca del mondo. Ma nella foga tutta francese con cui si diede l’assalto ai beni dei certosini di Grenoble, si dimenticò, o si credette inutile perchè ritenuto implicito, di tener d’occhio la cosa principale: nelle mani del governo restarono i beni immobili, restò anche la marca di fabbrica, ma non la ricetta, il segreto di distillare e preparare il famoso liquore, che invece esulò alla chetichella, inosservato coi monaci. Fu in seguito a questa sgradita sorpresa che non si volle esagerare, far il difficile sulla cessione della marca di fabbrica della chartreuse; ci si accontentava dapprima dell’offerta di cinque milioni, poi di uno e mezzo — bontà loro!

Ma noi qui non vogliamo far recriminazioni, o prediche, neppure riderci della figura goffa di quel povero governo francese e cointeressati nell’affare della chartreuse; piuttosto daremo del famoso liquore, a chi lo conoscesse solo perchè costa quattordici lire la bottiglia, alcuni particolari che non crediamo di infima importanza.

E prima di tutto, che esso liquore ha una rispettabile età, anche se si vuole computarla dal secolo XVI, quando i certosini di Parigi n’ebbero la ricetta per caso dalla generosità d’un maresciallo di Francia, nei giardini del Lussemburgo. Poi, che il liquore in discorso si fabbricava alcuni chilometri più al basso della Gran Certosa che, — per chi volesse orientarsi meglio — sorgeva e sorge a nord-ovest di Grenoble.

Soggiungiamo che a Parigi una Casa di commercio, alle dipendenze e per conto dei certosini di Grenoble, teneva in deposito e metteva in commercio la chartreuse,

  1. L’abitudine di portare dei pesi rende questi montanari veri ercoli alla fatica. Si aggiunga che quassù vi è l’uso di assoldare i coolies a un tanto la libbra, e costoro per guadagnare qualcosa di più arrivano talvolta a portare dei pesi incredibili di 150 e perfino 200 libbre! Il prezzo di unità per ogni libbra è determinato dal trasporto dei mou-eul, sempre i benedetti mou-eul! e varia a seconda del valore che questi hanno sul mercato di Nan-tciang. Quest’anno il prezzo è di 15 sopéche la libbra, equivalenti in nostra moneta a meno di 5 centesimi, cioè centesimi due e mezzo!