Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 21 - 21 maggio 1910.pdf/6

166 IL BUON CUORE


marsi un temporale che per buona sorte va a scaricarsi al di là della via che ci resta da fare. Per timore di essere sorpresi dall’acqua a metà di cammino sollecitiamo il passo e siccome la pioggia caduta ha rinfrescata l’aria, così il resto del viaggio riesce meno incomodo, e prima che il sole tramonti arriviamo in vista delle mura di Nan-tchang.

Quando siamo alla porta orientale per cui si deve entrare, la troviamo ingombra di gente come in occasione di qualche gioco o di una sommossa: uomini, donne e sopratutto ragazzi intenti a guardare alcuni satelliti in uniforme che preparano all’aperto un tovolino e altre cose che io mi immagino debbano servire per le constatazioni formali di qualche omicidio solite a farsi dall’autorità, tantopiù che, entrato in città, sento il rumore dei colpi del tam tam che si avvicinano, e che pare annunzino l’arrivo del mandarino; ma, cosa insolita, ai colpi dello strumento sonoro di ottone fa seguito la musica vispa delle zampogne che non sogliono far parte del corteggio mandarinale. Infatti non è il mandarino, ma l’idolo Tceng-Hoang che viene portato in processione fuori della città sopra una seggiola sghangherata e accompagnato da pochi straccioni portanti delle vecchie bandiere. La cerimonia è officiale, e ciò spiega la presenza della gente di tribunale.

Nan-Tchang (m. 540) o «La bella del mezzodì» è una città di terzo ordine, o sottoprefettizia, posta sulla sinistra del fiume Jen navigabile da piccole barche da qui fino a Tao-kou (110 km.) dove si scarica nel Siang Kiang o Han Kiang. La città non offre nulla di particolare in fatto d’arte, ed il suo commercio è minore del borgo grande di Ou-ngan yen, lontano di qui circa 32 km. Ma per il botanico la Sottoprefettizia di Nant-chang offre delle attrattive singolari, perchè all’occidente della città incominciano alle catene di montagne che, brulle da prima, si vanno a poco a poco coprendo di foreste che la mancanza di vie e la lontananza da grandi centri fecero fino ad oggi sicure dalla terribile roncola del cinese. Dentro a queste montagne nasce e scorre il fiume suddetto che bagna la città, e lungo quello è la via nazionale come dicono qui, o, come diremmo noi, il viottolo che mette in comunicazione il Hupé col Set-choan.

31 Agosto. — Per questo viottolo, ora a cavallo, ora a piedi, cominciando l’ascensione di Kai-cham. Non ci siamo provvisti di nulla perchè il mio uomo, che dice di essere pratico di questi luoghi, ce li descrive come seminati di hôtels pieni zeppi di ogni ben di Dio. Ma presto cominciano a capire che quelle parole furono una santa astuzia per portare qualche libbra di meno addosso. Le locande ci sono, ma piene di vento e di pulci, e al tocco siamo sempre digiuni e quel che è peggio senza speranza di trovare una miserabile focaccia di farina per far cessare i ruggiti terribili del corpo affamato. Visto adunque che la facenda si fa seria risolviamo di fermarci al primo albergo o capanna che sia, risoluti a mangiare un boccone e a foraggiare il cavallo a qualunque costo.

Che questa gente dei campi di manna caduta dal cielo come gli Ebrei, io non lo credo, e perciò in casa

ci deve avere pure qualche cosa. È questo qualche cosa che noi vogliamo assolutamente. Per buona sorte il padrone del nuovo albergo non si fa molto pregare: egli è amico di un nostro amico e volentieri impasta un po’ di farina, fa una grossa scodella di gnocchi per uno, e dà al cavallo una libbra o due di granturco.

Siamo a 550 m. di altezza, e la strada si è già avanzata per una ventina di Km. nell’interno dei monti senza perdere mai di vista il fiume che dobbiamo attraversare continuamente, il cavallo a guado e gli uomini sopra ponti fatti di tavole strette che posano su cavalletti di legno piantati nella rena del fiume. La corrente è assai forte, e già il cavallo è stato trasportato una volta da quella, e si è salvato a nuoto.

Mentre mangiamo, una donna attraversando un ponte cade nel fiume, ma è subito salvata da un giovanotto che le stava dietro.

A pochi passi di qui, mentre vo a vedere un piccolo mian, trovo, per la prima volta, i Long-Tchao-hoa «artigli del dragone» dei quali raccolgo le cipolle.

Passiamo la notte in una casa cristiana a circa la metà di via tra Dan-Tchang e Kai-chan.

Quassù le donne fumano come gli uomini: già ne abbiamo viste altre lungo la via, ed anche qui la padrona di casa una vedova di circa 60 anni, accende la sua lunga pipa e si mette a conversazione con i miei uomini con una certa libertà ignota nel territorio di Siang-Jang. Ci racconta come al tempo in cui in Kai-Chan scoppiò la rivolta contro i cristiani e si proibì a tutti gli alberghi di alloggiarli e di dar loro da mangiare, essa, ancora pagana non si lasciò intimorire e accolse più d’una volta i cristiani perseguitati e diede loro vitto ed alloggio. Passata la bufera, le mori il marito e poichè i suoi parenti la volevano vendere per impossessarsi del poco denaro che aveva, essa si fece cristiana, e così nessuno le diede più fastidio.

Ordinariamente il Missionario di Nan-Tchang si ferma qui nell’andare a far la visita della cristianità di questi monti, e la buona vedova ha sempre pronta una polentina di granturco e qualche altra erba per giunta, e sopratutto un piatto di buon viso.

Il Signore che ha già ricompensato questa nuova Raab della sua ospitalità verso i cristiani perseguitati, le renda anche mercede per il buon cuore e per l’attenzione di cui circondò noi, che altrimenti non avremmo saputo dove andare a passare la notte.

1° Settembre. — Prima di muoverci prometto al piccolo garzone della vedova 5 centesimi per ogni bulbo di giglio che mi avrà trovato al ritorno, e senza far colazione partiamo.

Incomincia la salita del monte Oupan chan, dalla cima del quale (700 m.) si gode un aspetto veramente pittoresco del fiume che abbiamo lasciato e che si mostra come una lunga e tortuosa striscia di argento laggiù.

(Continua).



Il Municipio di Milano ha ordinato 150 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.