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154 IL BUON CUORE


si fermarono, e i tre condannati scesero. Massimiliano, tranquillissimo e col viso ridente, con quell’eleganza di gesti che gli era particolare, cominciò allora a scuotersi la polvere dal vestito con lenti colpettini delle dita.

«Nel posto dell’esecuzione era stato innalzato un muro di mattoni, di fronte al quale le truppe avevano formato un quadrato. Ad ognuno dei tre condannati era stato in precedenza assegnato il posto, che essi presero tranquillamente. Allora l’avvocato fiscale lesse ad alta voce le motivazioni della sentenza di morte. Appena egli ebbe terminato, Massimiliano domandò al comandante delle truppe, generale Escobedo, il permesso di parlare; ed avutolo, disse queste precise parole:

«— Nego recisamente di aver mai avuto il desiderio o anche la sola idea di avvantaggiar me a detrimento del Messico. Proclamo che la procedura con la quale fui condannato è illegale. Fui giudicato da una Corte incompetente. Io ho il diritto di chiedere un tribunale neutrale — lo chiedo — e lo chiederò ancora fino all’ultimo istante della mia vita.

«Il silenzio mortale che si era fatto appena l’Imperatore fece cenno di voler parlare, non fu rotto da alcuno dopo le sue parole; nè del resto pareva che egli attendesse una qualsiasi risposta. Egli, infatti, appena ebbe pronunziato quelle parole, si volse verso il plotone di esecuzione che era comandato dal capitano Josè Montemajor. Costui, un giovane e bell’ufficiale, si accostò allora all’Imperatore e con voce accorata gli disse di non conservargli rancore pel fatto che egli era destinato a comandare il plotone di esecuzione, giacchè egli si trovava a quel triste posto senza propria volontà e nel suo cuore era ben lungi dall’approvare ciò che era costretto a fare. Massimiliano gli rispose in tono semplice ed amabile:

«— Il soldato deve compir sempre il suo dovere. Vi ringrazio dei vostri sentimenti. Fate quello che vi è stato ordinato. Ma di un solo favore vi prego: comandate ai vostri soldati che mirino al cuore; e dopo la mia morte distribuite loro questo denaro.

«E gli diede una borsa che conteneva un’oncia di oro per ogni soldato del plotone. Si volse allora ai suoi due compagni e li abbracciò con le parole:

«— Ci rivedremo presto in un altro mondo!

«Poi prese la mano di Miramon e gli disse:

«— Un coraggioso ha diritto al rispetto anche dei Re. Innanzi alla morte, io voglio lasciare a lei il posto d’onore.

«E così dicendo fece l’atto di prendere il posto del generale, il quale però si oppose con dolce violenza. Rivolgendosi poi a Meja, gli disse stringendogli la mano:

«— Generale, quel che non può essere compensato in terra, lo sarà in cielo.

«Meja rispose con una lunga e forte stretta di mano. Quindi, rivolgendosi ancora una volta al pubblico e avanzando di un passo, Massimiliano disse:

«— Messicani, gli uomini del mio rango e della mia razza sono destinati a formare la felicità e la fortuna del loro popolo o a diventare dei martiri, quando hanno i miei sentimenti. Io venni a voi senza prevenzioni ostili,
pieno di speranza, animato dalla fiducia di fare del bene, chiamato qui dai messicani, da coloro che oggi si sacrificano per la mia patria adottiva. Muoio con la consolazione di aver fatto tutto il bene che potevo e di non vedermi abbandonato dai miei fedeli generali. Messicani, io spero che il nostro sangue sia l’ultimo che si sparge e che esso riesca prezioso per questa mia infelice patria adottiva.

«Fece quindi un passo indietro, riprendendo esattamente il suo posto, posando le mani sul petto e dicendo ai soldati del plotone:

«— Mirate bene. Addio!

«Miramon allora volle parlare a sua volta, e alzando fieramente la bella testa girò lo sguardo sulle truppe e con l’accento non di un condannato, ma di un comandante gridò:

«— Soldati messicani, compatriotti miei! Voi mi vedete qui condannato a morte come un traditore. In questo momento in cui la mia vita non mi appartiene, qui sull’orlo della tomba, io proclamo in faccia al mondo che mai ho tradito la mia patria. Ho lottato pel mantenimento dell’ordine e cado vittima di questo mio dovere. Lascio dei figliuoli, che non possono però venire insozzati da questo fango che si è voluto buttare addosso a me. Messicani, viva il Messico!

«Il comandante del plotone guardò Escobedo, il quale fece un segnale. I soldati spianarono le armi. In quel momento il mare di popolo che ondeggiava al di là del quadrato delle truppe parve agitarsi, e si sollevarono alte grida di protesta. Si videro balenare in alto le sciabole degli ufficiali e agitarsi minacciosamente i fucili dei soldati. Fu un momento: la folla ripiombò in un silenzio di morte, nel quale improvvisamente si alzò la voce tonante del generale Miramon, che gridò:

« — Viva l’Imperatore!

«Massimiliano disse a voce bassa ma distinta:

«— Carlotta... Carlotta...

«In quell’istante, con un fragore orribile, le fucilate scoppiarono».

Proprio nei giorni in cui vede la luce questo vecchio manoscritto di un testimone delle ultime ore di Massimiliano, parte dal triste castello belga la notizia che Carlotta, l’invocata dal Sovrano nobile e sventurato nel suo ultimo istante, comincia, dopo più di quarant’anni di taciturna pazzia, a dar segno di un ritorno alla ragione.

E riandando l’atroce tragedia di Queretaro, vien fatto quasi di chiedersi se non sarebbe da augurare all’infelice consorte dell’Imperatore fucilato che non si diradi la nebbia di follia che ha ottenebrato finora il suo spirito.

G. Gabasino Renda.

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