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126 IL BUON CUORE


Religione


Vangelo della terza domenica dopo Pasqua


Testo del Vangelo.

Disse Gesù a’ suoi discepoli: Un pochettino e non mi vedrete: e di nuovo un pochettino e mi vedrete, perchè io vo al Padre. Disser però tra loro alcuni de’ suoi discepoli: Che è quello che egli ci dice: — Non andrà molto e non mi vedrete, e di poi, non andrà molto e mi vedrete, e me ne vo al Padre? Dicevano adunque: Che è questo ch’egli dice: Un pochettino? non intendiamo quel ch’egli dica. Conobbe pertanto Gesù che bramavano di interrogarlo, e disse loro: Voi andate investigando tra di voi il perchè io abbia detto: non andrà molto e non mi vedrete, e di poi: non andrà molto e mi vedrete. In verità, in verità vi dico, che piangerete e gemerete voi, il mondo poi godrà; voi sarete in tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gaudio. La donna, allorchè diventa madre, è in tristezza perchè è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’affanno a motivo dell’allegrezza, perchè è nato al mondo un uomo. E voi adunque siete pur adesso in tristezza; ma vi vedrò di bel nuovo, e gioirà il vostro cuore e nessuno vi torrà il vostro gaudio.

S. GIOVANNI, Cap. 16.


Pensieri.

«In verità, in verità vi dico, piangerete e vi lamenterete; il mondo poi godrà».

Questa la parola di Gesù a’ suoi discepoli e che potrebbe sonar strana a noi che siam usi a udire, e a ritenere anche, che solo la virtù dà la felicità; e che nessuna infelicità uguaglia quella del vizio.

Bisogna riflettere e risolvere la contraddizione, apparente però, perchè contraddizione non può essere fra la parola di Cristo e l’intima profonda voce della coscienza.

C’è forse una gioia propria dei mondani e una tristezza propria dei credenti?

Chi sempre abitò in povera casa gode di essa e vi vive felice; chi da un palazzo, per subita sfortuna, è sbalzato in modesto abituro, vi si rifugia sì, ma soffrendo per la deficienza di comodità, d’agiatezze, di delicatezze abituali.... Qualcosa di simile avviene per il credente e per colui che non crede.

Quest’ultimo non sa che i piaceri terreni, che le soddisfazioni sensibili e di esse si sazia: il credente che sperimenta Dio e le gioie dello spirito non anela che ad esse, tutto ciò che è d’ostacolo alla pienezza della vita interiore gli dà pena: il credente non può che gemere, pellegrino nel mondo.

Il cristiano (cristiano per davvero s’intende) non è che debba essere necessariamente malato o povero o infermo, nè che debba desiderare la sventura; l’esser cristiano non sta nè nel possedere nè nel non possedere, sta nell’essere indifferente a queste cose.

Ecco un criterio per giudicare noi stessi se siamo o non siamo seguaci di Cristo! Osserviamo se le
deficienze terrene diminuiscono la nostra pace; se la pienezza dei beni sensibili attutisce la nostra bramosia spirituale... meditiamo e poi scuotiamoci e ritempriamoci.

Se abbiamo ben capito che grande, che sublime tristezza sia quella che s’accompagna a un’anima profondamente cristiana, capiremo bene anche l’austera, la magnifica gioia, propria del cristiano.

Tutti gli uomini, credenti e scredenti, aspirano alla felicità: ma chi la mette nel possesso delle cose esteriori si troverà male il giorno nel quale queste cose gli verranno tolte.

E tutte le cose terrene verranno meno un giorno! Allora solo chi avrà il cuore alle cose eterne — chi avrà sempre vissuto delle realtà trascendenti sarà ancora felice — perchè queste grandi realtà non vengon meno mai. Ecco la grande gioia che Gesù annunzia ai suoi apostoli, che i credenti in Lui gustano in tutta la sua dolcezza; che i fedeli possono ammirare almeno di riflesso nei Santi! Veder anime indifferenti fra gli onori e gli agi, e, quel che dice ancor più, serene, liete fra le privazioni ed i dolori, è davvero cosa meravigliosa!

Sono queste anime l’apologia vivente del Cristianesimo, la rivelazione della grandezza alla quale Dio può elevare l’uomo!

Forse noi pure abbiamo avuto nella nostra vita il privilegio di conoscere, di avvicinare dei grandi cristiani; forse ne vivono fra noi.... Guardiamo ad essi con l’occhio della pietà, andiamo riverenti ad essi, perchè ci aiutino a sollevarci dalle tenebre alla luce, dalla terra al cielo, a Dio!

Dolore e gioia — scontento e appagamento ineffabile sono dunque il retaggio del credente quaggiù.

Pare che ogni legge nel mondo fisico debba avere, quasi direi un riscontro, nel mondo morale.

La nostra retina, colpita da un raggio luminoso resta attutita nella sua sensibilità; ma nel riposo riacquista la sensibilità di prima. A ciò che è automatismo nel mondo fisico risponde qualcosa che è prodigio d’amore nel mondo dello spirito....

Chi ha gustato la felicità della verità e del bene ne desidera sempre di più... sempre più bene, sempre più verità.

Più si sale e più si brama salire. — Dio, invocato, si dona a noi; ma donandosi ci ingrandisce e, ingranditi, noi abbiamo ancor più bisogno di Dio....

E lo supplichiamo riempia quel vuoto, sazi quel desiderio fatto da Lui.... E’ qualche cosa, questo fremito della vita interiore, che non è facile ridare, ma che sanno coloro che vivono una vita intensamente religiosa; che hanno saputo tutti i grandi mistici, e di cui ci hanno lasciato traccia in opere imperiture.

A tutte queste anime ansiose di Lui Dio si rivela e dice l’intima ineffabile parola: Io verrò a voi e niuno vi torrà la vostra gioia mai. Mai: ripetiamola la grande parola, l’espressione della nostra esperienza, la base della nostra speranza; il nostro bene non ci sarà tolto mai!