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IL BUON CUORE 103


tedra di Milano — e il più grande dei suoi successori, almeno fino ad oggi — debbano potere far altrettanto. Certi doni non si trasmettono ai successori come si trasmetterebbe un diritto od un onore.

E del resto, avesse avuto S. Carlo tutti i presidii scientifici di cui si gloria l’età nostra, a qual risultato sarebbe venuto la sua ricognizione dei corpi venerati nel sepolcreto di S. Vittore? Allo stesso al quale sono arrivati coloro che se ne servirono dopo di lui; cioè, a nessun risultato positivo per parte del lavoro archeologico-edilizio; a esito di molta latitudine e incertezza il lavoro paleografico; e parimenti per parte del lavoro — inventario anatomico — eseguito sui supposti corpi di S. Vittore e Satiro. Giacchè, cosa si deve concludere da una straordinaria rispondenza di scheletri coi connotati storici e supposti di S. Vittore e Satiro? Che dunque quegli scheletri siano assolutamente, infallibilmente quelli di S. Vittore e S. Satiro? Tutti conoscono la strana rassomiglianza della maschera di Voltaire col beato Curato d’Ars; e più d’uno dei nostri lettori avrà sentito parlare del fossile trovato in Francia lo scorso anno (Cf. The Month, aprile 1909) il cui cranio somigliava moltissimo a quello Gambetta. (Cf. anche Revue pratique d’Apologetique, janv. 15, 1909, pp. 611 e segg.). A tanta distanza, e dopo tanti mutamenti di cose e di uomini, è lecito garantire al pubblico che nulla fu mutato di ciò che compi e ordinò S. Ambrogio nel seppellire il diletto Satiro? Di Santi autentici, da cui è escluso il pericolo di scambii, di inganni, noi milanesi — dicea un giorno il compianto mons. Ceriani — non abbiamo che S. Ambrogio, Gervaso e Protaso; per questi c’è la certezza fisica. Ma per altri, almeno una istessa certezza non c’è, non essendoci stati tramandati attraverso a sedici secoli, protetti, chiusi inviolabilmente, vegliati, non smembrati, dispersi qua e là, non confusi con altri, ben distinti, come i sacri pegni di cui è ricca la Basilica Ambrosiana. Osare dire allora che due scheletri, venerati quanto si voglia, e giacenti sia nel sepolcreto della prepositurale di S. Vittore o anche in quello della Basilica di Fausta, perchè hanno o non hanno i tali contrassegni, sono o non sono S. Vittore e S. Satiro, per me è troppo. Alessandro Magno sciolga pure con un colpo di spada il nodo gordiano, e più nessuno avrà a ridire; ma fare altrettanto in una questione che affaticò tante intelligenze superiori senza che trovassero mai la spiegazione, perchè assolutamente, ora come ora, ci mancano i dati d’evidenza, ha della temerità della peggior specie. Ma qualcuno degli avversarii deve aver compreso il debole della sua causa se ha dovuto confessare che riteneva messo da parte per sempre tutto il suo lavoro in merito. Si capì il bisogno che un nuovo Camillo venisse a gettare la sua spada sul piatto della bilancia in cui si pesava l’oro mancante del giusto peso; venne, fece il bel gesto, ma la bilancia non precipitò per questo dalla parte degli avversari.

È inutile sforzarsi come si fece, a sostenere una causa, poggiata sull’arena, a dispetto delle presunzioni originarie che la Basilica Ambrosiana vanta sul possesso di S. Satiro; basata sul falso supposto suggerito dall’apocrifo tetrastico santambrosiano. Non si ha lusso di studii che possa creare un fatto assurdo.

E qui deponiamo la penna, tanto più che il nostro compito era semplicemente quello di dare le linee generali d’una vertenza che ha fatto rumore, ma non presumendo tampoco di trattarla ex-professo o di riassumere il lavoro a cui alacremente attende chi deve dare all’Autorità le conclusioni nostre in merito.



La NONNA è il libro ideale come lettura amena per le fanciulle.



I funerali del comm. CANDIANI

A MILANO E A CORENNO


Imponenti i funerali celebrati a Milano, tanto che a ragione si disse che riuscirono un solenne plebiscito d’onore e d’amore.

Al Cimitero Monumentale prese per il primo la parola il senatore conte Panizzardi, prefetto, a nome di S. M. il Re, di S. M. la Regina Madre e del Governo.

Seguì il sindaco, comm. avv. Gabba: poi parlarono il senatore Conti, per il Consiglio dei Veterani, il commendatore Gondrand, per la Camera di Commercio, il sindaco di Turate, cav. Pollini, il rag. Finzi, il cav. ragioniere Norsa, il dotr. Soffiantini, il dott. Giongo e infine il veterano Zucchi, unico superstite dei tre primi ospiti della Casa di Turate.

A Corenno Plinio.

Il panorama di quel ramo di lago che conduce da Dervio a Dongo, a Gravedona e a Colico, si presentava in tutto il suo splendore, coi raggi primaverili che davano un aspetto incantevole alle acque argentee, circondate dai monti ricoperti sulle cime da nevi recentissime.

Il convoglio funebre si fermò alla stazione di Dervio, ove i terrieri in gran numero attendevano la salma del ben noto patriota e benefattore comm. Giuseppe Candiani.

Occorse circa un’ora per la disposizione del corteo, che doveva svolgersi per circa due chilometri sul magnifico stradone napoleonico per raggiungere Corenno Plinio, la pittoresca e silente dimora preferita dal rimpianto defunto.

Precedevano cento contadini che, due per due, portavano in bell’ordine cinquanta corone di fiori freschi. Ammiratissimi i Veterani, accompagnati dal vice-presidente, il comm. generale Gabba, e diretti dal tenente cav. Galli.

La vedova, signora Caterina Biffi, seguita dai figli, da uno stuolo di amici e dal popolo, accompagnò a piedi il feretro fino all’antica Chiesa di Corenno e poscia al Cimitero.

Il corteo suscitava le meraviglie dei terrieri, che scendevano dalle ripe erbose, mentre due fotografi, ad ogni svolta, fermavano sulle loro lastre le svariate successioni della pittoresca sfilata.

La cerimonia religiosa si effettuò nella Chiesa parrocchiale e si ripetè nella cappella che, costruita sotto l’abile direzione del genero, ing. cav. Luigi Silva, spicca sul fianco d’una roccia a picco del lago e si vede da tutti i paesi del ramo superiore.

L’estremo saluto fu dato dal sig. A. M. Cornelio, il quale sintetizzò la vita del patriota e del benefattore, affermando anche il di lui sentimento religioso, manifestatosi con evidenza in opere buone e in buoni esempi, specialmente coll‘ammissione delle Suore di Carità e coll’erezione della Cappella nella Casa di Turate, e, più ancora, con la convinzione espressa nel ricevere ripetutamente i conforti della religione.