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102 IL BUON CUORE


E dove trovasi oggidì

il corpo di S. Satiro?

Nel numero del 24 febbraio scorso, furono prodotte le ragioni morali che farebbero ritenere come S. Satiro debba essere stato sepolto nella Basilica di Fausta, oggidì aggregata e incorporata nella Basilica Ambrosiana. E a meno di una prova materiale, di evidenza meridiana, non saremo per cangiare opinione.

Pure non è su questo particolare che da secoli si incrociano — se non le spade — le penne in un’aspra contesa; bensì sul luogo preciso dove riposano le ossa di S. Satiro; ritenendo la parrocchia di S. Vittore di possedere in una col corpo del martire celeberrimo, anche quello di S. Satiro, per ragione di quel disgraziato tetrastico da noi già citato e stigmatizzato per una miserabile mistificazione; e la parrocchia di S. Ambrogio ritenendo a sua volta di possedere almeno il corpo di S. Satiro per le ragioni che si diranno nel presente articolo.

Per i Santabrosiani è già una presunzione forte di possedere attualmente il corpo di S. Satiro, il fatto moralmente provato, che quel sacro corpo fu sepolto da S. Ambrogio nella Basilica di Fausta, nè mai trasportato altrove, da quanto consta finora. Recederemo da questa credenza, nel solo caso di una prova materiale che appoggi l’avvenuta traslazione.

Altro argomento di possesso crediamo di vederlo in questo che, il luogo sacro in cui fu deposto da S. Ambrogio il corpo del fratello benamato, lascia successivamente il nome di Basilica Faustae, poi quello di S. Vittore in ciel d’oro, per prendere e ritenere fino ai giorni nostri il nome di Sacellum o Cappella di S. Satiro.

Ultimo argomento la Tradizione, sia dei Monaci Benedettini e Cistercensi, sia del popolo. I Benedettini dal 1100 in avanti festeggiavano S. Satiro il 17 settembre. In detto giorno il Prevosto e i Canonici di S. Ambrogio funzionavano nella Cappella di S. Satiro, mentre i Monaci andavano a tenere gli stessi riti festivi nella Chiesa parrocchiale di S. Satiro allora alle loro dipendenze. La ragione dell’assentarsi dei Monaci dalla Cappella di S. Satiro, per quanto ne fossero divoti, e del lasciare ad altri il loro posto stava nel fatto di una convenzione precedente, avvenuta tra i Monaci stessi, l’Arcivescovo d’allora Pietro (805) e il custode titolare di S. Satiro un tal Forte, con cui si cedeva ai Monaci la custodia di S. Satiro, salvo il dì della festa in cui funzionerebbero i Canonici, a ricordare l’antica custodia tenuta in origine da sacerdoti secolari. (V. Monumenta Basilicae Am., Volume I, le prime 50 pagine). E dal testamento di Ansperto (869-881) si ricava che esso Arcivescovo «Ecclesiam S. Satyri et octo Monachos illic, ut praeceperat divina Mysteria in perpetuum peracturos, regimini subjecit Abbattis hujus Ambrosianae, etc.,» allo scopo d’ottenere unità d’azione.

Questa tradizione benedettina passò in eredità ai Cistercensi venuti a prenderne il posto nel 1490 e continuata fino all’epoca di S. Carlo, e bellamente riassunta in un dipinto che stette nell’abside della Cappella di S. Satiro fino al tempo dei ristauri ultimi eseguiti sotto il compianto Proposto Rossi (1860). Il qual fresco, se ripeteva in buona fede la leggenda della sepoltura di S. Satiro alla sinistra del Martire, messo lì nella Basilica di Fausta, attestava la comune credenza che fosse realmente sepolto S. Satiro.

E venne la famosa ricognizione di S. Carlo a soffocare questa tradizione; ma per poco. I Cistercensi, malgrado il loro atto di presenza alla ricognizione e traslazione solenne dei SS. Martiri e Confessori venerati nella prepositurale di S. Vittore, compresi S. Vittore
e S. Satiro, malgrado la nessuna protesta contro l’affermazione di S. Carlo che toglieva loro S. Satiro per asserirlo di possesso della chiesa di S. Vittore, quei Cistercensi, io dico, continuarono la loro tradizione e l’affermarono anche con esteriorità. Nel 1737 infatti essi compiono nella Basilica di Fausta dei ristauri radicali e vi mettono due grandi dipinti del Tiepolo — ora purtroppo deperiti e quasi irriconoscibili — rappresentanti il Martirio di S. Vittore e il Naufragio di S. Satiro.

Ultimo grido della tradizione nostra, il 5 marzo del 1862, quando nel Processo della Riposizione dei corpi di S. Vittore e S. Satiro, nella Basilica di Fausta, clero e parrocchia di S. Ambrogio dissero di ritenere d’essere in possesso del corpo di S. Satiro, e la Veneranda Curia di Milano ingiungeva di riporre quel sacro deposito in venerazione come era stato prima (V. Rossi, Cronaca Basilica di S. Ambrogio, pp. 16). E d’allora a tutt’oggi quel grido continua incessante e in un crescendo di affermazione in ragione che è inasprito dalle pretese degli avversarii.

I quali alla loro volta hanno delle buone ragioni da far valere in favore del possesso del nostro S. Satiro, unitamente al loro S. Vittore, per via di quel tal tetrastico pseudo-ambrosiano. E chi promuove delle cause senza delle ragioni e delle credute buone ragioni? Orbene gli avversarii ci mettono innanzi anzitutto una loro Tradizione — sviluppatasi nel secolo IX — che tra altro dice come «in un’arca sita al disotto dell’altare maggiore in S. Vittore si doveano trovare non so quali corpi di S. Ambrogio, Gervaso e Protaso.....» (Cf. Purricelli). Ma quando una Tradizione ha di queste impudenze, ha già detto ciò che vale.

Argomento più forte sarebbe — se mai fosse consistente — quello dei mattoni trovati nel sepolcreto della prepositurale di S. Vittore e portanti parole che potrebbero dir tutt’altro, ma via, che si vuole che dicano S. Satirus. E che per ciò? Dopo gli studii dei competenti in materia, quei mattoni vanno ascritti ai secoli XII e XI al massimo. Non consta che siano sostituzione di altri di epoca anteriore, per non dire di epoca ambrosiana. Potrebbero essere opera di pie intenzioni, e potrebbero essere anche una deplorevole mistificazione, tutto quel che volete, fuorchè un argomento serio dimostrativo del possesso di S. Satiro per parte della chiesa di S. Vittore.

È poi con un senso di infinita soddisfazione che la parte avversaria ci mette innanzi l’argomento massimo — la ricognizione in favore della Porziana dei corpi di S. Vittore e Satiro, fatta (1576) da S. Carlo.

Senza mancare di rispetto al gran Santo milanese, siamo dolenti di dover dare ben scarso valore all’atto di lui; e non siamo soli a far ciò, e neppure i primi. Dal 1576 ad oggi, la lista di coloro che, non dico non ritennero definizione dogmatica o ex cattedra, ma nemmeno un verdetto di grande importanza la ricognizione suddetta è ben lunga. Per tacere d’altri, la suprema Autorità ecclesiastica e nel 1862 e in questo 1910, accogliendo la relazione Rossi-Biraghi e la relazione Comi tutt’ora in elaborazione, mostra di non credere perentorio, passato in giudicato il verdetto di S. Carlo. Il quale, se proprio non si limitò a far schiodare e richiudere urne di ossa venerate in S. Vittore, non fece molto di più in linea di critica, d’archeologia sacra, di liturgia, di storia, di antropometria, di anatomia comparata, che allora non erano nate ancora. Nulla di più ha fatto neppure in linea — diciamo così — religiosa, oppure di speciali facoltà di penetrazione, di intravedere, divinare, di fiuto sicuro e infallibile. Che S. Ambrogio a colpo sicuro abbia saputo dire che sotto terra, in determinato punto entro la Naborriana, ci fossero corpi di martiri e dei martiri Gervaso e Protaso, non ne viene di conseguenza che un suo successore nella cat-