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92 IL BUON CUORE


sentimentalismi! No, non c’è nulla di eccessivo nè di fiacco in un sentimento, quando esso migliora!

Chi non intende ciò è una povera creatura dal cuore gretto, dall’anima piccina, una povera creatura egoista, tutta chiusa in se, e, senza, saperlo, forse, tanto infelice!

Chi non capisce il bisogno di manifestare la propria riconoscenza, la propria devozione, non sentirà neanche quello che corrisponde al dovere di venire in aiuto alla miseria, allo squallore!

Così pure, non sempre coloro che parlano più alto contro le disuguaglianze e le ingiustizie sociali (che pure sono molte e gravi) si mostrano i più disinteressati — ed è appunto per questo che la loro parola semina odio ed attizza le ire tra i fratelli.

Osserviamo: quasi sempre la virtù è nascosta, silenziosa, conosciuta; chi ne resta beneficato non sa, spesso, dove sia la sorgente benefica e, se si potesse risalire alle fonti d’ogni opera buona, d’ogni movimento di bene si troverebbe una di quelle grandi personalità che, unite con Dio, non anelano alla terra, alle sue apparenze vane, alle sue effimere glorie.

Il Vangelo dice che Giuda si lagna dello sperpero non perchè gli importasse niente dei poveri, ma perchè era ladro, e, tenendo la borsa, portava via quel che ci mettevano dentro.

Quanti, quanti si potrebbero riconoscere in Giuda! Non tutti perchè ladri, si capisce, ma perchè preoccupati del loro proprio benessere, non anelanti che alla conservazione, alla custodia dei loro interessi e privilegi. Quante volte è il nostro vantaggio o svantaggio privato il movente delle nostre lodi e dei nostri biasimi! E che cosa più nauseante di questa? Che amare parole bisognerebbe usare se si volesse approfondire questo punto di meditazione!

Quante brutture abbiam visto e vediamo ancora noi, ogni giorno! Desideriamo la purificazione da ogni egoismo e facciamo ogni sforzo, soprattutto, per la purificazione nostra!

Gesù, a chiudere la bocca agli accusatori della donna, dice: lasciatela fare, voi mi avrete per poco, tra alcuni giorni io vi sarò tolto, pensate come se questa donna rendesse il tributo del suo affetto ad un morto, imbalsamandone il corpo. La trovereste in questo caso esagerata e degna di rimprovero?

Soccorrere i poveri è un dovere ordinario, di tutti i giorni — l’onorare un morto è cosa straordinaria (accade poche volte che noi dobbiamo praticare questo dovere). Che meraviglia che la circostanza straordinaria richieda anche e provochi un dispendio straordinario?

Ma chi fosse insensibile alla pietà verso i morti sentirebbe poi la pietà verso i poveri?

Chi trascura le occasioni straordinarie che provocano alla generosità, alla carità, sarà poi fedele nelle piccole contingenze della vita, pronto alle quotidiane esigenze della carità verso i bisognosi?

Com’è profonda la parola di Gesù! E come scruta i cuori il Maestro divino, e come ci rivela a noi stessi! E come rischiara tutti i problemi della vita morale!

Educazione ed Istruzione


PANEGIRICO

del Sacerdote Adalberto Catena

NELLA METROPOLITANA DI MILANO

il 4 Novembre 1853.

Chi avesse veduto quelle giovanili sembianze, irradiate dall’infula gemmata, alto levate in quell’agitarsi di popolo infinito intorno all’eletto, doveva dire: “Levati di qui, angelo di Dio. Tu solo non basti a salvare questa città”. Pure quella era l’ora di Dio! Benchè la riforma fosse un bisogno sentito, non era invocata dal voto comune; ed era ardua cosa — di bisogni non definiti, di vaghe aspirazioni, di incerti consigli — comporre un sistema; ardua operarla allora che non era più possibile differirla. Se Carlo tutto ciò non cura, se non vince l’aspetto dello zio pontefice, già già chino alla tomba, se non l’accorrergli intorno dei porporati... se qui arriva è una di quelle risoluzioni, in cui si chiude infallibilmente il futuro. Non dite immaturi i suoi ventisei anni: l’urto di potenti realtà ei l’ha provato, quando poc’anzi sedeva al regime di tutta la Chiesa. La riforma l’aveva già operata alla luce del mondo, in Roma stessa, che piegava all’alto esempio di sua austerità. — Egli, cardinale, nipote al Pontefice; autorevole per parenti e congiunti in tutt’Italia e per lo stesso prestigio delle patrizie ricchezze, egli, legato a latere di Bologna e Ravenna, poi di tutta Italia; egli, abate e commendatore di almeno dodici Chiese in varii stati, penitenziere supremo della Santa Chiesa, conte d’Arona, principe d’Oria, protettore del Regno di Portogallo, dei Cantoni svizzeri cattolici, della Germania inferiore, degli ordini francescano e umiliato, degli ordini militari di Malta e del Cristo..., comprendete come da tutto ciò derivasse una sensibile autorità alle sue doti penetranti, sovrane. Oh quante volte la magnanimità del principe e quella più nobile del santo s’incontrarono in lui di mezzo alle contradizioni del ministero! Ma i principi non sono mai tanto utili alla Chiesa, come quando le si umiliano innanzi; e crebbe appunto ogni autorità al Santo, allorchè spogliossi di tutti questi onori, e, solo fidente in Dio, cadde avanti gli altari e pianse sull’infelice sua patria. Era da qui che il riformatore cattolico inauspicava l’opera sua. E il tempio pareva allora animare ogni ara, ogni imagine intorno a quello spirito orante, che anelava e trasfiguravasi in Dio. E polche questo inganno della vita così ne circonda, che, a poco a poco, le si ha fede ed amore, ascende ascende quasi a spiccarsi dalla vita e dal mondo alle montane solitudini; — meglio se il sito è selvaggio per quell’anima severa, meglio i silenzi e l’ombre notturne, ch’egli fendeva di povero lume, augusto pellegrino sulle balze tortuose di Varallo e dell’Alvernia a trovarvi le aure di Francesco.

E altra volta uscire dalla città — i pii consorzii, e via procedere ai simulacri venerati della cristianità, e con essi il santo Arcivescovo — a Torino, a Vercelli,