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IL BUON CUORE 27


oggetti una spada dall’elsa d’argento dorato, finemente cesellata, colla guaina di madreperla a fregi pure in argento dorato.

La spada è nientemeno che di Napoleone I, e da un ammiratore della Pasta passò in proprietà di costei, che sempre se la teneva ai piedi del letto: la spada nel ’48 sfuggì alla requisizione d’armi fatta dai tedeschi, avendola un servo avveduto nascosta sotto le lenzuola.

Non meno interessante per l’amatore la raccolta di diplomi, attestati, ecc., che le infinite accademie di Orfei, Anfioni, Filodrammatici di Venezia, Milano, Bergamo, Napoli e Roma indirizzarono alla Pasta, come hanno alto valore numismatico le varie medaglie alla Pasta decretate ed offerte in diversissimi luoghi, illustrate già dall’avv. Cencio Poggi, tra le quali piacemi ricordare quella d’oro decretatale dai soci del Casino di Bologna, sulla quale leggesi la seguente bellissima epigrafe:

Giuditta Pasta
nel magistero del canto
per giudicio d’Italia
nell’arte del gesto
per consenso di Francia
meravigliosa
i Soci del Casino
di Bologna
grati plaudenti
1829.

Come Alessandro Volta, Giuditta Pasta fu grandemente benefica, amando destinare parte della sua fortuna al sollievo d’ogni miseria, così in patria come all’estero.

Un confronto tra le benemerenze del Volta e quelle della Pasta non è possibile, ma ci è consentito di essere sereni estimatori dei meriti di queste due grandi glorie comasche, riconoscendo la infinita varietà degli aspetti onde il buono ed il bello si vestono, e traendone argomento per cercare di scoprire nell’al di là l’archetipo che tutte le bontà e tutte le bellezze in sè assomma.

Questa relazione è per sè stessa la più splendida apologia della grande artista; ma altre se ne potrebbero citare in appoggio, e sono quelle che serviranno — lo speriamo — alla compilazione di una biografia completa, vagheggiata da molti. Intanto ci piace spigolare nella Vie de Rossini del De Stendhal, pubblicata a Parigi nel 1892, alcuni brani assai eloquenti.

«Quali termini potrei adoperare per parlar della ispirazione che la Pasta rivela col suo canto e della forma di sublimi o straordinarie passioni che ci fa conoscere? Secreto questo, ben al di sopra di qualunque grado di poesia, e di tutto quello che lo scalpello dei Canova od il pennello dei Correggio possono rivelarci sulle profondità del cuore umano. Per la Pasta, la stessa nota in due diverse situazioni d’animo, non ha, per così dire, lo stesso suono. E questo è semplicemente il sublime nell’arte del canto. Uscendo da una rappresentazione dove ci ha trasportati, non è possibile ricordarsi d’altro che della profonda emozione che ci ha colpiti. Invano si cercherebbe di rendersi esatto conto
d’una sensazione così profonda e straordinaria. Non si sa da qual parte rifarsi per ammirare. Quella voce non ha un metallo straordinario; non deve i suoi effetti ad una sorprendente flessibilità; non è neppure d’una insolita estensione: è unicamente e semplicemente il canto che parte dal cuore, e che seduce e trascina tutti gli spettatori. Fu chiesto alla Pasta chi fu il suo maestro, come attrice. Ella non n’ebbe mai altro che un cuore atto a sentir vivamente le minime gradazioni delle passioni, ed una profonda ammirazione per la bellezza ideale. A Trieste, un povero fanciullo di tre anni, che avvicinandosele le chiedeva la carità per la mamma cieca, la fa scoppiare in lacrime e la induce a dargli quanto aveva. Gli amici che erano in sua compagnia, si mettono a lodare la bontà del suo cuore, ma ella, asciugando le sue lacrime: «Non accetto — dice loro — le vostre lodi. Questo bambino mi ha chiesto la carità in un modo sublime. Ho visto, in un colpo d’occhio, le disgrazie della madre, la miseria della casa, la mancanza di vesti, il freddo che soffriranno, tutto. Oh, sarei una grande attrice, se, data la circostanza, potessi trovare un gesto ch’esprimesse i grandi dolori con tanta verità!...»

Anche in Francia e in Inghilterra, si conservano bellissimi ritratti e ricordi assai interessanti per la vita della grande artista italiana, che passò attraverso il fuoco senza esserne tocca, nell’elevatezza del sentimento, nella purezza degli ideali.

Onoriamo adunque il merito e la virtù!

Un richiamo alla memoria di Napoleone III

Ai lettori del Buon Cuore non può far meraviglia se diciamo non chiusa, anzi ancor sanguinante nel nostro cuore, la ferita aperta nel veder passare il 1859, senza che il monumento a Napoleone III, venisse collocato nel posto dove il dovere della gratitudine e una deliberazione solenne, e non ancor ritrattata, del Consiglio Comunale, volevano che si ponesse, cioè nel Parco, dinnanzi all’Arco della Pace.

Noi godiamo tutti i giorni i benefici dell’indipendenza dallo stranie’ o e della libertà, e teniamo in prigione il monumento di chi tanto contribuì a darci la sospirata libertà, colui senza del quale nessuno può dire in qual modo noi saremo riusciti a toglierci di dosso il giogo austriaco.

E per ciò tutte le volte che, pur senza voluto intento, ci capita sotto gli occhi qualche accenno allo sventurato Monarca, e vediamo ricordato il beneficio da lui recato alla redenzione politica d’Italia, l’impressione dell’ingratitudine milanese si fa viva e ci ribolle nel cuore, e non siamo capaci di reprimerla e chiuderla dentro, fermi in una dolce speranza che un giorno sarà fatta giustizia alla giustizia.

Questi riflessi ci vennero suggeriti da un articolo che troviamo nella Rivista Minerva del 15 genn. 1910.