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DI NICCOLÒ FRANCO. 177

la sua lode. Il che certo non dovrei dire, per non più palesare l’indegnità delle mie lodi, delle quali tanto più pajo indegno, quanto conoscerete che non ve ne so rendere il contraccambio, per lo che mi giudicherete, o falso nell’amicizia o ignorante, come che non mi occorra cosa da celebrarvi, poichè le vostre lodi ch’io debbo rendervi parranno tanto piccole nella mia carta, quanto nella vostra son parute grandi le mie. Onde non voglio più dubitare che il tutto sia stata un’arte per scoprire il vostro sapere e la mia ignoranza, perche venendo meco alla prova, mi facciate conoscere che le vene del vostro dire son tali che dove non è campo di lode ne sappian trovare, e che io dove ne sono i mari non ne sappia scorgere per mio difetto. Pure, diciamo il tutto, dove non è quella lode che deve essere (sì come accade in me) vi è stato così facile e possibile a darmene con le parole, quanto a me saria difficile ed impossibile darne a voi, nel quale per essere ogni pregio d’onore, mi bisognerebbe per lodarvi come conviene, pigliar pure da voi le lodi per darle a voi. Talche per non essere onesto, ch’io per lodarvi vi toglia il merito la dove ve ne dovrei aggiungere.

Alla signoria vostra, piacerà pigliare solamente il buon animo della mia lettera sì com’io i belli e lodati affetti ho presi di quel che voi mi scrivete e ch’io meco riserberò per un ampio privilegio d’onore, perche nella piccola eredità del mio nome, debba restare per auten-