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354 | il mistero del poeta |
scuro e iracondo. Mancando quasi un’ora all’arrivo del treno, Violet e io entrammo nella stazione, mentre gli altri andavano a bere il celebre vino rosso del paese.
Ella mi confessò allora che durante la notte si era svegliata di soprassalto sentendosi male; quasi mancar la vita. Era passato prestissimo, ma intanto le era rimasta l’impressione di un gran pericolo corso, e l’idea che un altro assalto potrebbe riuscir fatale.
La rincorai come potei, l’accarezzai. Ella alzò il viso che teneva basso, mi guardò, sorrise. — Adesso sei pallido più di me — disse. Non seppi rispondere che uno sciocco — no. — Mi mancò la voce. Dopo un breve silenzio Violet mi susurrò che doveva dirmi un’altra cosa. Cosa? Ella non parlava più, io non sapevo immaginar niente, ma il petto mi faceva male.
— Iersera — diss’ella a capo chino, sottovoce — ho avuto una lettera di...
Nominò la persona cui aveva amato un tempo. Udendo quel nome pronunciato in quel modo, un doloroso gelo mi colse, lasciai la mano di lei che prima tenevo tra le mie. Essa la riafferrò ansante.