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gante. Per dare un saggio di questa specie di legislazione oggimai abbandonata esporrò brevemente e per sommi capi questi ultimi, siccome quelli che più c’interessno da vicino.

Io non ho potuto trovare in quale anno avessero avuto principio gli Statuti di questa Regione: v'ha però ogni motivo di crederli molto antichi, giacché appare, da quanto abbiamo altrove discorso, che anch’esso il Vergante, staccato per lo meno sino dallo scorcio del secolo XII dal contado di Stazona, si sia costituito alla foggia della capitale in comune reggendosi dietro i propri statuti e con proprii magistrati quale una signoria (1) separata sotto l’immediata giurisdizione dell’Arcivescovo: il quale certo dovette, se non gli diede esso stesso, accondiscendere che se li formasse da sè, come oggimai portava l’uso comune.

    Da questo elenco si scorge che Margozzo era ancora considerato come spettante al Lago Maggiore e che il luogo di Brissago, tuttoché appartenente alla pieve di Canobio, formava una comunità a parte, mentre Ascona era censita con Locarno, e che sotto il nome di tutta la Valle Intrasca, si comprendeva anche Pallanza. Quanto poi alla sponda opposta del Lago è notevole l'estimo della terra di Travaglia colla sua pieve, la quale certamente doveva allora estendersi da Maccagno superiore sino a Caldè, estremo limite di questa valle verso Laveno: la qual cosa, se non mi inganno, ci prova la misera sua condizione in quel tempo. Alla comunità di Angera poi spettava anche Sesto, mentre Ispra n’era separata; e un tutto da se egualmente formavano i luoghi di Monvalle, di Arolo, di Cellina, di Cerro con Ceresolo e di Laveno.

  1. Che il Vergante fosse costituito col titolo di Signoria è chiaro dai suoi Statuti medesimi e da altri documenti ancora ad essi anteriori. Notiamo qui a maggiore intelligenza di quanto diremo in appresso che col titolo di Signori s'intendevano quelle persone che avevano giurisdizione legittima proveniente immediatamente dell‘impero o mediatamente da chi l‘aveva dall’impero, come dall'arcivescovo o da qualche capitano o da altro cittadino privilegiato dall'impero stesso. Si accordava poi l'investitura di tali signorie, come anco dei feudi o benefizii, con alcune solennità; come usando dell'asta o dello scettro e innanzi al Pari della loro corte (cosi si chiamavan li altri vassalli di quei signori), se ne aveano: ovvero con un breve o instrumento rogato colle solite formalità, dal che si scolrge l'uso dei Primati di portare lo scettro e avere la propria curia o corte (vedi Giulini P. VII, pag 325 e seg.)