Pagina:Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee - Vol. 1.pdf/169


— 150 —

guerra ai Longobardi «Questa aurea eloquenza, dice il Muratori (Annali, a. 584), fece il desiderato colpo.» Perocchè Childeberto si mosse tosto e in persona con poderoso esercito calò in Italia. I Longobardi non osando di venire con lui a battaglia, si appigliarono anch'essi al partito di guadagnarlo coi doni. E narra Gregorio di Tours (l. c. VI, 42), che Childeberto ammansito da questi conchiuse coi Longobardi la pace e ritornossene senza aver nulla operato nelle sue Gallie.

Il pericolo però corso dai Longobardi in questa occasione servì loro di scuola, imparando da essa quanto fosse necessario alla nazione di avere un capo, al quale tutti obbedissero, e perciò vennero in quell'anno stesso nella determinazione di eleggersi un re, che fu Autari figlio di Clefi (V. Paolo Diacono, I. e III, 16 e 17). Nè male si apposero; poichè Maurizio indignato dall'esito della prima spedizione di Childeberto, spedì a lui nuovi messi coll'ordine o di restituire il denaro, o di adempiere la fatta promessa. E Childeberto l'anno seguente (585) spedì nuovamente il suo esercito in Italia contro dei Longobardi; ma sia che i capitani fossero tra loro discordi, sia che trovassero più duro il terreno di quello che si credevano, fatto sta, che ancor questa volta essi tornarono indietro senza aver nulla operato. È lo stesso Gregorio, che ci narra questo (l. c. VIII, 18), non che Paolo Diacono (l. c. III, 22).

Però insistendo sempre Maurizio presso di Childeberto e temendo questi di disgustarlo, un esercito ancora più poderoso di Franchi fè scendere in Italia l'anno 588. Ma questa volta i Longobardi si trovarono pronti a riceverlo. Racconta Gregorio, e sulla fede di lui anche Paolo Diacono, che venute ambe le parti a conflitto i Longobardi fecero de'Franchi tale un macello, che ben pochi poterono salvi recarne in patria la nuova1.

Ciò nonostante non desistendo Maurizio dallo spronar Childeberto a tentar un'ultima prova, e promettendogli questa volta

  1. Tanta strages facta est de Francorum exercitu, quanta nusquam alibi memoratur. Sono parole di Paolo Diacono, l. c. III, 28. — Veggasi Gregorio Turonense, l. c. IX, 25.