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perduta di vista la cupola di Michelangelo, cominciai a respirare un’atmosfera allietata dal lavoro e dal buon volere, si che ne fui consolato. Non solamente zappate apparivano le terre, ma alletamate e, che più monta, piantate. L’odor dei concimi mi solleticò piacevolmente l’olfato, chè n’aveva perduta ogni traccia, non essendo sistema di concimazione nell’opposto versante. L’aspetto degli alberi e l’uso cui erano destinati mi andava a sangue. In un campo seminato a canape o a frumento od a trifoglio, vaghi olmi distesi in linea erano coronati da ubertosa vendemmia; tal fiata degli olmi tenevano luogo i gelsi. Quanta dovizia accolta in breve spazio! Qui avete pane e vino; qui camicie e vestimenta seriche per madonna; qui vettovaglia pe buoi, chè anche l’olmo provvede il foraggio! Bella chiesa è San Pietro; ma campo ben coltivato è cosa maravigliosa.

E cosi andando ratto giunsi fino a Bologna sempre lieto della fecondità del suolo e della bravura dell’uomo. Ma poco di poi ebbi a ripigliare il cammino di S. Pietro e reddire nelle sconsolate campagne.

Ampio tema a lunghe riflessioni fu questo; e mentre meditavo, un’idea geometrica s’infiltrò di celato nel mio pensiero, e mi addolorò. Parvemi addimostrato, come la legge di Keplero, alla evidenza, che i soggetti del Papa erano in ragion diretta del quadrato delle distanze che separali dalla capitale; o, a parlare più alla buona, che l’ombra dei