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468 | parte seconda |
mente a quella del sovrano di Thsu (330 av. C.), non volle mai nessun’ufficio, e si mantenne fino alla morte lontano da ogni pubblica faccenda. Il nostro filosofo taose scrisse un’opera che porta il titolo di Nan-hoa-cên-king, la quale è una continua satira de’ seguaci di Confucio, e un’illustrazione de’ principii del Tao. Non è da credere come la scuola de’ Letterati si levasse contro quest’irrisore delle venerate dottrine di Yao, di Shun e di Wên-wang; contro quest’uomo che cercava tutto sconvolgere l’ordinamento sociale. Uno de’ detti letterati, avendo a parlare di Cuang-tse e del suo libro, scrive fra le altre cose quello che segue: «Dopo la morte di Confucio, le sacre dottrine che erano la gloria del tempo antico, andarono ogni giorno più decadendo; e come se ciò fosse poco venne Lao-tse a scrivere un volume, dove insegnava il non-fare e la spontaneità. Ed ecco Cuang-tse, i quale divien così caldo ammiratore di quel filosofo, che si pone anch’egli a comporre un’opera così funesta, che molti savii prevaricarono e deviarono dal retto sentiero. Per essi le sante leggi che reggono lo Stato, furono minacciate di totale rovina; e non s’hanno ad aver in odio le parole di siffatti filosofi, che s’adoperano a rovesciare l’ordine naturale delle cose?».
Intorno a Lieh-tse, o Lieh Yü-khen non si hanno che scarse notizie. Liu-Hsiang1 che parla distesamente di molti autori antichi, non dice di lui altro che era nativo dello stato di Chêng,2 e che era contemporaneo del principe Muh-kung. Quest’ultima asserzione però è evidentemente erronea, inquantochè Muh-kung visse molto più d’un secolo avanti di Confucio; e alcuni fatti ripor-