per questo di prestare adorazione anche alla Terra; se innalzano un altare allo Shang-ti, o al «Supremo reggitore», non si dimenticano d’innalzarne altri agli U-ti, o ai «Cinque sovrani»: esseri mitologici, che hanno anch’essi contribuito alla costituzione sociale del popolo sinico. Anzi al culto di questi enti, che non è culto popolare, ma del sovrano e degli alti funzionarii di corte, si unisce quello d’un numero infinito di genii. I monti, i fiumi, le valli, le sorgenti delle acque, le selve, i singoli alberi, le erbe, le roccie, tutte le cose insomma della natura appariscono animate da questi genii, a’ quali si presta un culto, cui il popolo parimente concorre. E agli U-ti, ossia ai «Cinque antichi sovrani», i principi e la loro Corte aggiungono gli spiriti di altri sovrani defunti, gli spiriti dei saggi e dei filosofi, il genio tutelare della città, e a tutti offron sacrificii; mentre le famiglie, nei santuarii domestici, onorano la memoria dei loro defunti, venerano e invocano i genii tutelari della casa, gli Dei Lari e i Penati. Questo nuvolo di genii, di spiriti, di mani, offuscò di molto il concetto monoteistico, che pareva emergere naturalmente dalla sola osservazione dei culto del Thien e del Shang-ti; e diminuì l’alta opinione, che, in fatto di idee religiose, alcuni s’eran fatta di questo popolo: e non si mancò d’affermare, che esso, come qualunqu’altro popolo che non piglia per guida la luce dell’Evangelio, non valeva più de’ rozzi e barbari idolatri. Di questo parere, presso a poco, furono i Missionari Domenicani, che dopo i Gesuiti si recarono all’estremo Oriente. Fra questi due ordini monastici incominciò allora una disputa, che non è esagerazione chiamare accanita. I Gesuiti scrivevano in difesa dei Cinesi, o meglio in difesa del giudizio che s’eran fatto delle credenze dei Cinesi; scusando le cerimonie estranee al culto del