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210 parte prima

dell’altra, ma sibbene originali entrambe. I testi sacri raccolti per opera di Dharmaçôka, essendo stati in special modo destinati a conservare le predicazioni di Çâkyamuni, è probabile che fossero scritti in quella lingua, che il popolo del Magadha parlava, e nella quale il Buddha aveva predicato, voglio dire in Pali: tanto più, che il sodalizio monastico, non essendo presso i Buddhisti formato solamente della parte più nobile della popolazione, poteva ricevere i precetti e gli insegnamenti della religione in lingua volgare. Quando poi, in quattro secoli di vita, il Buddhismo ebbe tale incremento, che non il volgo solo ne professava le dottrine, ma anche i brâhmani; quando la letteratura religiosa, lasciando il modesto ufficio di tramandare incorrotta la dottrina primitiva, prese ad esporre teoremi di speculazioni filosofiche; allora la società monastica, per quanto non diventasse mai casta privilegiata, cominciò a distinguersi dal comune degli uomini; e, obbligata a studii più astrusi e difficili, sentì forse la necessità di adoperare la lingua sanscrita a fine letterario: anche per valersene nelle dispute co’ dotti che professavano il brâhmanesimo. Onde con molta apparenza di vero si può dire, che l’ultima compilazione dei Libri della Legge, fatta nel quarto concilio, convocato appunto in paese, dove, a preferenza di altre contrade dell’India, si mantenne più puro l’antico linguaggio ariano, dovette essere stata fatta in Sanscrito. La collezione Pali del Ceylon, dunque, non solo ha probabilità d’essere originale; ma è certo quella che conserva la Dottrina più antica e genuina, come del resto lo mostra l’esame dei libri che ne fanno parte: essa starebbe a rappresentare la collezione dei testi, raccolti nel concilio di Pataliputra. A tale opinione indurrebbe anche il vedere, che, tanto nelle tradizioni del nord, quanto in quelle del sud, si enumerano tre soli concilii, invece di quattro. Secondo la prima tradizione, l’ultimo concilio, che stabilì il canone sacro, fu quello tenuto nel Kâçmîra, e non si fa parola di quello di Pataliputra; nella seconda tradizione, invece, si fa menzione di quest’ultimo sinodo, come quello che compilò le sacre scritture, e non si parla affatto del concilio convocato da Kanishka.