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della storia dell’ordì no. Se Pesame dei fatti fosse stato guidato da una più larga concezione, questi sviluppi pratici e ideali, che altri ha interesse a dipingere corno le tappe successive di una rapida decadenza, sarebbero apparsi come il risultato d’un’attività centuno e molteplice, della quale il Santo c parte soltanto, sebben notevolissima. Nò v’ora alcuna necessità d’inventar liti e discordie dove non ce no furono, quando a spiegare i progressi d un’idea son sufficienti lo condizioni naturali o storicho tra lo quali essa deve vivere.

La più recente biografia, che è anche la più vera o bella fino ad oggi, voglio dir quella di Luigi Salvatorelli, può offrirci un’immagine netta e rilevata di quello che è lo stato presente dogli studi francescani. Sebbene anche la sua sia, o voglia essere, soltanto una vita di San Francesco, e non una storia del movimento complesso che dal Santo prese origine, tuttavia il Salvatorelli ha immerso profondamente il racconto dei casi particolari del suo soggetto nel quadro dell’Italia Comunale, o non ò a dire quanto la figura del protagonista acquisti di nuova luce, così riavvicinata alla realtà, alla sua realtà. Le figure dei papi e dei cardinali elio si muovono intorno a quella doll’Assisiate non son disegnato con spirito d’antipatia, ma in modo giusto ed umano, come persone vivo.

Basta leggero le pagine dedicate a Innocenzo III dal Salvatorelli, o confrontarle con quelle corrispondenti del Buonaiuti por esempio, per vedere quale differenza profonda ed essenziale corra fra un libro d’indole storica e un altro d’indolo polemica. Il Salvatorelli riafferma ancora lo spirito recisamente e sicuramente cattolico di Francesco, e tocca il punto giusto, o il principale, quando osserva elisegli aveva bisogno assoluto del sacerdote... Non era prete, nò intendeva diventarlo (il compilo suo era altro):

e solo i preti, egli credeva cattolicamente, avevano i poteri sacramentali. Berciò la sua comunità e il suo genere di vita presupponevano!J clero cattolico e il pieno accordo don esso».

Anche la narrazione doll’ultimo periodo della rita del Santo è nel complesso persuasiva cd obbiettiva.

Scnonchò quello che, da un punto di rista strettamente biografico può parere rinuncia esclusiva e forzata di Francesco di fronte ad ostilità insormontabili, visto in un.quadro più ampio, apparirebbe probabilmente come il risultato dell’attività parziale e della parziale rinuncia di ciascuno degli attori: c, come del Santo, così della curia papale, o dei frati delle varie tendenze. Come sempre, dell’opera di tutti si fece anche qqesta volta la realtà. Che fu poi una realtà sul serio, o grande, non già, come altri vorrebbe, il residuo d’un’croica sconfitta Quale dunque è l’immagine del Santo e dell’opera sua che gli ultimi e più degni studi ci additano o ci fanno desiderare? Un’immagine più lineare c sincera, più ricca anche se meno drammatica di quella che ci hanno offorta gli epigoni del’romanticismo. Bieca di tutta la vita storica complicata o multiforme che le pullula intorno. Togliendo l’artificio degli atteggiamenti battaglieri e l’orpello delle immaginario lotte intime, si priva certamente di ogni sfogo la passione di quelli che non amerebbero San Francesco, so non a patto di non distinguerlo da Pietro Valdo o da Arnaldo da Brescia. Ma la Btoria vera’guadagna da questa come da ogni altra distinzione. Ed ò chiaro ormai che uno de’ compiti essenziali del francescanesimo fu proprio quello di tradurre quel tanto che v’era d’ortodosso nel rinascente spirito di riforma evangelica entro le linee sicure ed eterne della Chiesa: dal che guadagnò corto la Chiesa stessa, che tornava ad abbeverarsi alle pure sorgenti originarie, ma guadagnarono anche quelle idee stesse conquistandosi, pur attraverso deformazioni o moderazioni, un campo d’attività iinmensamento più vasto e pjù umano di quello offerto a qualsiasi setta di eretici. Così pure un’altra romantica immaginazione scompare, quando si rifiuti la descrizione a colori cupi ed ostili cho i vecchi biografi ci offrivano delle lotte sotterranee dei papi contro l’ideale francescano.

Ma noi abbiamo imparato a tempo a diffidare di certe rappresentazioni troppo schematiche o semplici: e la nostra umanità rimane più soddisfatta e si placa meglio nella verità d’uu atteggiamento da parte dei pontefici misto di commossa aspettazione c di qualche diffidenza, atteggiamento naturale c illuminato di quella alta saggezza di fronte alla quale San Francesco ap punto volle binare il capo.

La rappresentazione ideale del Santo scaturirà, anche meglio integrata, quando lo figure, che ora stanno nell’ombra intorno a lui, saliranno al primo piano, e avremo una valutazione piena e sicura degli spiriti d’Elia e di Leone, d’Innocenzo, d’Onorio e di Gregorio, e una chiara distinzione dei diversi gruppi che si formarono sin dai primi tempi noll’ordine:

valutazione c distinzione, s’intende, dalle quali sia escluso ogni spirito ostile e polemico.

Certamente l’ordine francescano fu ben altra cosa da quello che il Santo aveva pensato ull’inizio.

Ma neppure perciò ò necessario immaginarsi Francesco costretto a rinunciare di giorno in giorno a un frammento del suo ideale:

se pur non si voglia alludere a quella rinuncia che ogni uomo fa a tutte le ore dei suoi sogni in faccia alla realtà maestra cd arbitra. E scipratuito bisogna abituarsi a considerare elio, por quanto grandi e privilegiati siano stati il merito e l’intelligenza de! Santo, il risultato fittalo dell’ordine, risultato grandioso ed effettivo, lo trascende c non fu tutto opera sua. Vi cooperarono, uccunto a lui, gli uomini accorsi all’ardore primo della sua chiamata e, sopra ogni altro artefice, la Chiesa.

Tra un concorso di così varie persone c vicende, con il crescer d’una sempre più ricca ed La poesia di Nella poesia di Diego Valori confluiscono, purificati, molti elementi spirituali che carnttcriz”?.»rouo l’arte d’avanguardia fiorita in questi ultimi anni d’eresia. La parte ch’egli assunse fra i giovani fu di rispettoso riserbo per!a nuova coscienza che sì andava formando: ma non nascondeva una certa simpatia ohe a’in lobo!iva, quà o là, in nn timido proposito di fedeltà alla tradizione.

Il suo temperamento si sviluppa attraverso questa doppia esigenza: donde la sua indecisione e la sua aria di scontentezza, che si acqueta solo nell’incantata melodia del ritmo. Le suo intenzioni di rinato classicismo si dissolvono nella fragilità del verso e nella maniera tutta romantica di crear l’immagiuc c di atteggiarla nel periodo musicale. Egli non possiede la solare* chiarezza dei classici, verso i quali si sente attratto per la nobiltà degii studi anziché per una naturalo disjxwizione a risolvere le esigenze dell’anima entra linee armoniose e decise in cui l’ispirazione s’inserisca placidamente e trovi la sua giusta misura. La sua pagina serba tremori e inquietudini non completamente risolti, ed è sostenuta da una intenzione verbale più clic da una necessità intima e laboriosa. Ha, però, una sua particolare bellezza che la mette accanto alla più gentile poesia dei nostri giorni, sebbene con poca originalità fra tanto bisogno di aprire vie nuovo allu nostra coscienza. Da (’tnnnu (1915) a frisai uì e (1919) ad A rich ( r92d). la poesia del Valori insiste di più su motivi tenaci e delicati, non troppo ricchi o complessi, ma pieni di grazia u, quà e là, resi profondi dalla tendenza a corcare nella vita le tracce del dolore u del mistero. Dolore e mistero senza dramma e, direi, ingentiliti: risolti in lieve melanconia. Del dolore.l’un Leopardi o del mistero ch’ò nella poesia del Pascoli, il VaIeri accoglio c intendo la parte piò somplice:

tanto c vero ch’egli gode di sentirsi triste, ed ò più disposto a fingersi che a crearsi un suo dramma, per la cara illusione di vedersi specchiato nelle, piccole amarezze cotidiane o di anticipare gli abbandoni della vecchiaia.

La sua melanconia ò la melanconia dei tramonti e delle acquo lungo i filari ombrosi e delle avventure amorose: melanconia di brevi momenti che si scioglie in tenerezza e ignora la profondità d’una lacrima. E lo stupore o l’umiltà di chi si sente sulla terra a cospetto delle meraviglio del mondo e avverte il pulsare del cuore mentre attorno c la grande armonia dell’universo.

E’ la «gaia tristezza» (s’intitola cosi il primo libro del nostro autore: 1913) di chi si sente amato e comincia a conoscere il turbamento dell’amore con la trepidazione d’un fanciullo che si affacci perla prima volta sul mondo. Che altro può nascere da una realtà così semplice e domestica? Non certo l’acerbo dolore. Solo, a tratti, l’accoralo rimpianto pei giorni che non sono più e l’amarezza per la «rete di piccole rughe» ch’ò intorno agli occhi.

Un accenno di maggiore sviluppo di questo motivo doloroso inseritosi nella realtà idillica e fiabesca in cui di preferenza ama vivere il nostro scrittore, si ha, quà e là, in tutto l‘Aride (in Umana e in Crisalide c’ò ancora odore di favola c d’infanzia) e culmina nelle liriche Un giorno, Perduto amore, Sala d’aspedo e nelle incantate Canzonelle per.Vuvnladoro, così notevoli per chi voglia studiare questo poeta fuori della sua consueta sede di quadretti familiari e schizzi di paesi, e. ad ogni modo, in un’occasione opportuna per comprendere come la sua arte vada conquistando una ragione più umana e profonda che non ò da scambiarsi con certe equivoche complessità che sembrano lusingarla a proposito di liricho nelle quali ò tentata, senza fortuna, la descrizione di paese particolareggiata e mossa (si vedrà, accennando a Po) disdegnosa delle sottili pennellate di quattro e sei versi.

Il passaggio dall’umile episodio della strada e della casa, della campagna e dei luoghi amati alla tristezza dell’amore ò reso senza incompoati rivolgimenti e senza quegli eccessivi abbandoni alla nuova conquista che sogliono turbare i sogni di poeti ambiziosi c sfrenati.

Tranne, j>erò, che questo piccolo dramma non si allontani alle sue origini (non si dimentichi cho per noi l’ispirazione fondaniuntalc del Valeri ò da ricercarsi nei componimenti in cui fioriscono soavi profiili di donne c occhi sgranati di bimbi e in cui cielo e nuvole si specchiano. Da qui nasce tutta la sua poesia, anche quando sembri allontanarsi dalle sue naturali disposizioni) e non diventi «cosmico» porche, allora, si isterilisce, malgrado la vivezza del motivo lirico.

Il Valeri ò poeta:?i troppo semplice cuore e di troppo modesto virtù per [x>tcrsi addentrare nel mistero dell’universo e cantare una alta esperienza, ò naturale cho l’animo di Francesco mutasse, r> con l’animo le idee di lui. Ad alcuni parrà che sia in tale concezione sminuita l’entità e la grandezza del profeta d’Assisi quale essi se Forano immaginato, ma noi invece vorremmo sapere in quale modo e fino a qual pun* tp l’esaltino coloro che lo dipingono come un fanatico ostinato a perseguire un sogno, che essi stessi poi son costretti a dichiarare irrealizzabile.

Natali no Sapeono.

Diego Valeri realtà in cui la sua anima, c vero, trova un vago tremore -.{’ingenuità (tremori di bimbo dinanzi all’Eterno) ma che, certo pesa su lui col formidabile significato storico assunto in esempi colossali di poesia (Leopardi c, in una sfera assai minoro, Pascoli) e per Puntilo sforzo di trovare un’adeguata espressione nelle suo pagino (es.: Terra invernale).

L’eterno si dispiega, in lui, in una vaga forma di stupore:

«... nel cuor fanciullo nasce improvviso un senso d’universo o d’eterno...».

Non ò, cioè, una nota da cui può prender lo mosse una lirica; ma ò la finale ansietà d’uii incousapcvolo cuore di fanciullo. Nella poesia di Diego Valori tutto ciò ch’ò nel mondo c nella vita passa attraverso questo cuore di bimbo meravigliato.

I momenti di dolore e di ansia sono una parentesi non destinata ad avere uno sviluppo maggiore di quello che anno già avuto con le liriche citate di Perdala umore, ecc. anche se torneranno nell’opera futura. Segno clic l’ispiraziono più costante di questo poeta ò di preferenza rivoltd, si diceva, ad argomenti tenui o delicati e si attarda di rado in regioni psicologiche complicate allo quali poter chiederò quel tono di maggior vigore cli’ò l’errata ambizione di chi ignora su stesso.

In via generale, il Valeri non esce dai limiti e dalla grazia solitaria d’una )>oesin per «album»

ili cui le notazioni siano tutte essenziali anche se scarne e povere e la cui bellezza ò affidata quasi esclusivamente alla semplicità della parola trascclta con gentile gusto o collocata in modo da oreare una dolce e ingenua armonia come di vecchi cantari.

II suo verso non regge al confronto con quello di altri poeti minori: non à mai la sua bella e intatta purezza stilistica clic rende necessarie ogni vbee e ogni movenza,‘e "non à neppure’la vigorosa concisione propria del verso italiano.

Ed ò senza pause interiori ih cui la materia poe* tica trovi la sua riposata melodia e in cui circoli sangue giovine.

In compenso, la sua visione è sempre nitida e s’inquadra su uno sfondo di natura cordiale e pensosa, in cui abbondano l’azzurro e il violaceo e l’oro stinto l’un sole malato, senza, però, che la pennellata sia vivace e netta, perché il Valeri preferisce le trasparenze di crepuscolo e di aurora e le ombro della itero, le quali hanno, nelle sue pagine, una funzione specifica in quan* ‘to servono a meglio determinare la sua fantasia.

Nelle sue tre racolte ci sono, |>er questo riguardo, gruppi di componimenti assai vicini fra loro, sebbene scritti in anni diversi. Questo potrebbe far pensare al poco sviluppo che ha avuto il suo temperamento dai primi esperimenti allu ultime prove. E in realtà, la sua arte non si ò mai approfondita e si ò lasciata cullare dalla dolcezza monotona delle sue rime, facili o comuni.

Si sente che questa poesia nasce per creare una rima canora: e ignora l’eterno. Non’ha piena coscienza della vita e del mistero ch’ò attorno:

e quando si sforza di rappresentare qualcosa nello svolgimento della civiltà poetica contemporanea per gettare sulla nostra esistenza una sua parola umana e solitaria com’ò stato per tutta la nostra grande poesia, rimane imprigionata nell’angustia della sua povertà emotiva c si isterilisce.

Così è in certi * Momenti beethoveniani» o in certi «Preludi» (in.-I fiele come in Crisalide e Umana!) coi quali il poeti lenta di penetrare nel mistero del sogno attraverso l’eco di grandi voci musicali, mentre questo bisogno di superare «la siepe che <}i tanta parte dell’ultimo orizzontc il guardo esclude» per naufragare nell’infinito, era reso meglio in talune poesie descrittive, ove il colore e il ritmo fanno ini ravvedere non so che pace sovrumana, perchè creano una realtà musicale, c le cose circostanti si velano di trasparenze leggere in cui tutto «odora di mistero».

E, allora si rimpiangono i momenti nei quali il Valeri si accontenta di poco e canta in sordina, suscitando quella incantata melodia di canzoni notturne, cho si confonde con lo sciacquìo del mare ch’è propria dei suoi quadretti veneziani e di certe strofi scritte con aria di nulla ma in cui c fermata, con delicatezza, la grazia d’una nuvola che s’indora al tramonto (Pini) o il fascino di due occhi «più umari degli occhi della sera» (Giovinetta).

Gli aspetti d’un paese (vasto ed intenso di colori: noti più schizzato in sottili e arioso tinte v in brevi tratteggi di penna) gli si sfaccettano, frantumandosi: sfumano, perdono la loro forma: come in Po, lirica mutevole e sensibile alla curiosa volontà del poeta, mtynolla quale il pao’ saggio c soffocato e senza proiqiettivn.

I particolari sono tutti a tm medesimo piano, sonimorsi in un’iiiiiea tonalità che rendo inerte c uniforme la pagina, malgrado l’ambizione di abbracciare la vastità del piano lombardo e di rendere, con misteriosa eco. la voce antica del Po.

II verso ò senza immagini che gli diano un ritmo, c la topografìa dei luoghi scivola in una realtà pigia ed opaca, così lontana, del resto, dalla particolare attitudine di questo poeta di fronte alle cose. Perdio il suo difetto •essenziale non è nella freschezza delle sensazioni, ma nella maniura di dare concretezza fantastica al mondo che gli tumultua nel cuore.

Dall’iucertn vita interiore ut!’eternità dell’urto, il cammino, pel Valeri, ò impervio-, e la pagina ò piena di cose inespresse: più viva o cordiale nel sentimento che vuol cantare anziché nel risultato artistico.

Abbiamo dinanzi un taccuino di pittore con abbozzi svelti e leggeri ma senza la potenza del.definitivo. Ecco perchè la sua arte nasce o si forvila in una sfera d’umiltà e arieggia, con successo, modi e ritmi popolareschi che lo aiutano a narrare vicende di amori leggendari (si legga Snrrg ina: nella «Biv19ta d’Italia» del 15 maggio 1925) o a rifarsi un’anima primitiva attraverso ingenue e candido pagine di anonimi scrittosi jAlca**ino l’iVicoteffn frati. «L’eroica»

192l’).

Tuttociò testimonia un’educazione stilistica poco laboriosa, ma semplice o nativa c può manifestare, nel Valeri, lina consuetudine lunga e cordiale con ulcuni poeti d’oltr’Ali>c, Jammes e Samain.

Nel quadro della noatra poesia novecentesca la sua figura s’inserisco senza eccessivo rilievo e in una luce discreta c tranquilla; ma son sicuro che parecchi di quei «Poeti d’oggi» che si videro ufficialmente laureati da Tapini e Pancrazi, incontrandosi con lui e con le cose fresche e immediate ch’egli ci ha date, sentirebbero il disagio della sua presenza.

G A. Pbimtore.

“Modernissima., Uà Mmi 18 Via Convertite - Roma Ramon Gomez de la SernaRivelato l’anno scorso da Valcry Larbaud all’Europa, Ratuòn è oggi uno degli scrittori più bizzarri clic si possano leggere fra i moderni.

Con le sue trenta penne stilografiche caricate a inchiostro rosso Ranidri, aveva scritto, quando a 35 anni è arrivato olla celebrità.

una biblioteca.

Scrivere è il suo modo di respirare. Diffìcile ora la scelta tra la catasta dei suoi libri, da cui escono fuori chiassate, strilli, fulmini, lampi c tuoni come da una batteria di effetti teatrali dietro le quinte. A mettervi l’occhio si scorge il panorama colorito delle strade di Spagna, c su di esse acrobati che si dondolano all’altezza del (plinto piano, su un filo, pagliacci clic fanno lazzi sui marciapiedi, uomini mosca che si arrampicano pei cornicioni, sorprendendo il sonno delle pigre donne di Spagna, i gabinetti dei dentisti e dei medici, le stanze che si affittano a ora, tutto lo spaccato d’una città piena di vita lirica.

OPERE PRINCIPALI DI RAMON GOME7. DE LA SI URNA EL RASTRO 1 22.— POMPO (Storia del raffi letterario madrileno - 2 voi)»

40,— SENOS»

20,— GREGUF.RIAS»

22,— GREGUKRIA SELECT A»

22,— EL ALBA Y OTRA COSA»

18,— VARJACJONKS toda I.A HISTORIA DE pukkta»

24,DEL SOL»

24,— EL DOCTOR INVEROSIMIL»

24, LOS MUBRTOS Y LA MUERTAS»

18, — EI. NOVRLISTA»!8.CINELANDIA 2Ò, — LA QUINTA DE PALMIRA Traduxioni in francssc LA VEUVE ’BLANCHE ET NOIRE • 22.L.

16.LE DOCTEUR INVUAlSK.MHLABLE»

16,— SENOS»

10,— KCHANTILLONN (KrdnlMi d. ’anacionc*) esaurito FANTASMAGOItIBS (Estratti dalle <tregue■ ruts) nella rivisti» «900» mino l.o, p. 1»

IO,— l,n bibliografìa completa dello Opere di Rainòti Gomcx de La Sictnn è fornito gratis a richiesta.

I prcxxi qui ’sopra cqntsti essendo soggetti alle vnrinxioni dei cambi non sono impegnativi.

Per il 1927 il Harcfh svolgerà più ampio e completo il programma che sarà esposto In un lungo articolo del prossimo numero.

Contiamo sull’aiuto di tutti gli amici.

A quanti rinnoveranno l’abbonamento entro il 30 dicembre 1926, sarà inviato in dono, dietro richiesta, uno dei seguenti volumi.

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