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48 il baretti


plice trappola di sentimento li fa smarrire in un labirinto.

Leggete i drammi di Antonio Wildgans. Povertà, Amore, Dies irae, Caino (i successi a teatro dicono poco quassù, dove un abile régisseur può far parere un capolavoro a un pubblico disorientato e indifferente qualsiasi giocherello; e son fuochi di paglia). Uno spirito che tenderebbe al chiaro, al ben architettato, così immediatamente sensuale da aver sempre bisogno d’una base circonstanziatamente realistica; un poeta esperto del ritmo che sa essere con scaltrezza sentimentale e raffinato. Ebbene, l’ottimo austriaco è stato punto dalla tarantola dei tormenti strindberghiani e da quell’altra delle estasi espressioniste e i suoi drammi sono delle truculenti amplificazioni immaginative di assai banali conflitti. Nulla di più falso dei coronamenti mistici delle sue azioni. E perchè? Perchè questo traduttore di Baudelaire e di Pascoli cerca con ostentato sforzo di muscoli d’alzare ai cieli visionari un capo, che più volentieri si volgerebbe a qualche sottile vicenda terrena.

Leggete «I Sognatori» di Robert Musil. Un uomo fine, che non condivide tante delle ubbie espressioniste, che sa impiantare le sue brave situazioni drammatiche e caratterizzare personaggi e stati d’anima. Ebbene il suo lungo dramma (240 pagine), è tipico dell’errare senza salvezza in un labirinto di questi prigionieri del sentimento. In una villa di campagna due uomini e due donne combattono lentamente una singolare battaglia. Uno degli uomini. Anselmo, è riparato qui presso l’amico colla sorella della moglie di costui. Il mondo crede che la fuggitiva voglia ottenere il divorzio per sposare l’amante. Ma Regine, un’indefinibile creatura mezzo donna e mezzo coboldo, s’è decisa al mal passo solo per noia del marito, non per amore del seduttore, da cui sa di non essere amata. Ne questi ha ceduto ad un impulso vano: ha obbedito ad una sua terribile legge interiore, la quale gli ha già fatto interrompere una promettente carriera scientifica e lo spinge a sperimentare con donne e con uomini la sua forza di seduzione. Seduzione dei sentimenti più che altro, dominio degli spiriti, desiderio di rompere d’ogni intorno i confini del reale e di tentar tutte le possibilità realizzabili con qualsiasi forza. («Tutto ciò che avviene realmente non ha nessuna importanza di fronte a ciò che potrebbe accadere»). Accanto a tal uomo tutti si sentono disarmati. Basta ch’egli sgrani la sua filosofia («... Le menzogne non sono verità, ma per il resto sono tutto». — «Gli uomini passionali non hanno sentimenti, ma tempeste caotiche di forze» — «Sentimento vero e sentimento falso sono in fondo quasi la stessa cosa»), basta ch’egli comunichi cogli occhi a qualcuno la sua infernale inquietudine per guadagnarlo. Tommaso, l’amico ospite, non è affatto uno sciocco, vede chiaramente che Anselmo è un sofista, un falsario, assiste angosciato alla caduta della propria moglie, un’onesta, nobile, grave donna, nei lacci del seduttore, e pure non ha la forza di resistergli. Un’acre voluttà della sofferenza, il fascino dell’abisso lo disarmano. «Esser abbandonati è bello! Perder tutto è bello! Essere allo strenuo della propria saggezza è bello!». Invano il cognato, accorso per salvare la moglie Regine e i parenti dalla scandalosa commedia si sforza d’indurlo ad agire contro il «cacciatore di bestie» e tratta l’intelligente Tommaso di febbricitante in mezzo a dei malati. Avendo il torto di rappresentare il rigidismo legale, l’ordine, la realtà, Tommaso gli può rispondere: «Penso che contro uomini della tua fatta bisogna lottare per il diritto d’esser di tanto in tanto malati». Anselmo è fra tutti il più forte, perchè è il più logico nell’effettuare quella fuga nell’irreale, cui tutti agognano. E nelle ultime battute del dramma Tommaso ne riassume bene il senso, dicendo che tutti in quella casa sono dei sognatori. «Paiono uomini insensibili questi. Camminano qua e là, guardano quanto fanno gli altri uomini che nel mondo si sentono a casa loro, e portano in sè qualcosa d’ignoto agli altri. Un immergersi, ogni minuto, in ogni cosa fin giù in un abisso senza fondo. E tuttavia non affondare. Lo stato originario della creazione». Il dramma finisce cosi. Maria è partita per raggiungere Anselmo, Regine resta accanto a Tommaso; la serie delle complicazioni, delle lotte, degli stupori, delle rese può ricominciare.

Concentrano I Sognatori, come il fuoco d’una lente i raggi, i motivi essenziali del dramma espressionista. Anselmo insomma rappresenta il caos, dal quale questi spiriti non sanno difendersi. Vivere è un cadere nell’abisso senza fondo della materia primigenia che si disfa e si rinnova continuamente; è un volere l’infinito possibile e non il determinato reale, un correre a cavallo dell’assoluto verso il paese delle albe senza giorno. Arte è la notazione musicale di questi ineffabili stati d’animo. Vivere e creare sono un unico sogno mistico. E chiaramente mostrano I Sognatori come questo indirizzo dell’arte contemporanea non apra un avvenire, ma piuttosto rispecchi le perplessità del presente, le angosce e le stanchezze del presente, e, appunto per l’ambizione delle sue velleità, la miseria del presente.

GEORG KAISER

Una multiforme ricchezza par invece presentare Georg Kaiser. Se gli altri si trovano più o meno a disagio sulla scena, egli, come C. Sternheim, ci si sente a casa sua. La sua fama e grande ed ha varcato vittoriosamente i confini della Germania. Dopo due deboli tentativi nel 1914 e 1915, solo nel 1917 a trentanove anni gli riuscì di acquistare il primo successo sicuro; ma da allora si videro rapprésentante di lui, tra vecchie e nuove, non meno d’una trentina di opere. Tutte le idee, tutte le forme, tutte le possibilità del dramma odierno furono dal Kaiser adoperate e sviluppate con uno spirito di conseguenza e un’energia stupefacenti. Mentre i suoi colleghi amano indugiar nella novissima Arcadia vaneggiando tra sentimenti e sentimentalismi, egli esce in giro per il mondo ad affrontare ogni sorta di conflitti e di situazioni nella cruda luce del sole. Le sue strade sono quelle dell’osservazione ironica, dell’immaginazione audace, della dialettica magari per effetto d’arguzia sofistica, del pathos robusto; il suo ritmo è velocità; il suo stile sintesi. S’eran recati ad onore gli espressionisti di avere scossa la signoria dell’intelletto, mostrando di voler tutto ricavare dall’anima. Kaiser mette nel centro del suo mondo il proprio cervello.

Dice: «Scrivere un dramma vuol dire pensare un pensiero fino in fondo». Vuole la forma aderentissima al pensiero, senza frange mistiche; quindi un’espressione energica e netta. Alla formula dell’amore toccasana di tutti i mali, pietra angolare dell’avvenire risponde burberamente: «Chi sa quanto numerose siano le idee non ancora pensate, non ha tempo di amare». E spiegando che «di vivere si tratta», ammonisce: «tutte le strade devono essere marciate». Senza scrupoli e senza pregiudizi, assetato di vita che per lui è pensiero, pieno d’impeto, egli vorrà giungere all’assoluto non portato da rapimenti visionari, ma per opera delle sue lucide armi intellettuali. «Un trampolino di slancio» chiama il dramma. Come del creare, «scopo dell’essere è il rècord».

Difficile ridurre sotto una formula unica tutta l’opera di Kaiser. Ad una riduzione ai minimi termini si prestano centinaia di drammi e decine di autori espressionisti. Il poeta di Magdeburgo, fedele al suo principio: «è dovere del creatore di staccarsi da ogni sua creatura e d’andar sempre di nuovo nel deserto», si presenta ogni volta con un aspetto nuovo. Ora attivista ora quietista, ora alle prese colla questione sociale ora inscenatore di Colportage, ora sezionando con implacabile dialettica una materia romantica ora alterando la realtà in uno schema deformatore egli scombina sempre le caselle, che gli possiate aver preparato. Manca in lui uno sviluppo lineare. Se comincia con tragicommedie alla Wedekind, tenta poi i problemi che il tempo rende attuali, se ne stacca, si riavvicina a posizioni abbandonate, s’abbandona ad escursioni laterali, mentre la sua tecnica e il suo stile, che per un tratto sembrano complicarsi nel simbolo, in seguito si semplificano per indi’ piegare a nuovi vezzi e nuove avventure. Deve aver ragione il suo più acuto studioso tedesco, B. Diebold, a chiamarlo un giuocatore di pensieri. La sua foga, il suo spesso fanatico ardore non derivano, come ne’ suoi immediati predecessori e ne’ suoi colleghi, dal bisogno di confessione o dall’uzzo dell’annunciazione messianica; derivano dal gusto, col quale egli svolge i suoi giuochi metafisici. Anche se parte da un caso di concretismo e magari da un’episodio storico, anche se i suoi personaggi (contrariamente alle abitudini espressioniste) han nome, volto e carattere, egli fa presto intorno a loro il vuoto pneumatico, solleva azione e attori a simboli, fa del dramma un urto di pure forze. (E a lui la cosa riesce assai meglio, che non per es al signor A. Stramm. l’autore di Forze). Nell’astrazione si muove liberamente, senza impacciarsi. In Gas II ridurrà la rarefazione all’esterno (nei personaggi, nella simmetria dell’azione, nel dialogo), senza ingenerare oscurità. Fin le personificazioni di sentimenti e di stati d’anima gli riusciranno evidentissime. L’astrazione è tanta talvolta (tutto è diventato schema, i personaggi paion sagome ritagliate l’una sull’altra, il gusto della simmetria è spinto fino alla quasi ripetizione di scene intere) che a un certo punto credereste d’aver davanti a voi una pantomima. Se gli osservate che per tale strada s’arriva alla marionetta, Kaiser vi potrebbe rispondere indicando uno scritto di Kleist sul teatro delle marionette, colle quali è possibile giungere al «centro di gravità» d’una figura o d’una situazione.

Kleist è uno dei poeti prediletti da Kaiser; ma quale abisso lo separa da lui! Pensate a Käthchen, ad Alemena, a Natalie, magari a Pentesilea, e vedete la donna nel moderno: o è una pura carne (come la Giuditta della Vedova ebrea), o una figura insignificante, di comodo per l’azione (come il più delle volte), o è l’oggetto del tormento sensuale o concettuale d’un uomo, oppure infine, abbia

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o non un corpo voluttuoso, è anch’essa un cervello occupato in una sua avventura. Ogni profumo romantico è svanito; il cuore è divenuto il pezzo meno usato d’una macchina precisissima, obbedientissima alle sue leve di comando. Qualche volta direste di sentirlo battere un cuore. Eustachio di S. Pierre ne I borghesi di Calais si sacrifica perchè nessuno de’ suoi compagni manchi al suo dovere eroico; il cassiere di «Dal mattino a mezzanotte» nella fuga affannosa attraverso il mondo cerca, dopo le amare delusioni sofferte, un uomo; il passeggero di «Inferno, via, terra» combatte contro i rappresentanti della società per ottenere a pro’ d’un infelice la legge dell’amore; il figlio del miliardario e l’operaio miliardario dei due «Cas» vedono il pericolo per la nostra società di continuare la fabbricazione della sostanza fatale e tentano con ogni sforzo di richiamar tutti al loro dovere di uomini; il mercante di pegni del «Contemporaneamente» si rovina per salvare dal temuto suicidio la presunta vittima d’un seduttore. Ascoltate meglio; anche quel battito di cuore è meccanico, è voluto perchè l’azione acquisti d’intensità. Eustacchio di S. Pierre, il cassiere, il passeggero, i miliardari, il mercante di pegni sono pur essi dei recordmen della sensazione. Kaiser non ha parole proprie da dire, esperienze da raccontare, verità da bandire, amore da comunicare; non è un poeta, e un artista. Il suo compito è sempre: data questa materia, come posso trarre il massimo effetto. E la materia buona è quella qualunque che si presti ad un’originale impostazione e ad un non ancora pensato svolgimento. Deve lavorar l’immaginazione a trovarla. Che sia inverosimile non importa! anzi. Che cosa di più inverosimile di quel gas, il quale alimenterebbe ogni sorta di macchine e cessando il quale l’intera industria sarebbe rovinata? O di quel Cas dell’ultimo dramma, la polvere che dovrebbe redimere i reietti della terra togliendo loro la facoltà di procreare senza privarli delle gioie dell’amore? E inverosimile e il miliardario del «Corallo» col suo sosia, inverosimile il Konstantin Strobel del Centauro, e a farla breve in ogni dramma Kaiseriano favola o personaggi o situazioni hanno qualcosa almeno d’inverosimile. Volutamente. L’inverosimile, che ad altri servirebbe per complicare, ornamentare, colorire, serve al nostro drammaturgo per semplificare, organare, ridurre all’essenziale. Solo così gli è possibile fabbricarsi quello spazio e quell’atmosfera ideali, in cui le sue azioni trovano la loro logica necessità. Inesorabile necessità che le muove ad una soluzione matematicamente calcolata, correndo al disopra d’ogni impedimento, magari a forza di sofismi. Spesso, nei punti di svolta, se i protagonisti parlassero come la ragione vorrebbe, il conflitto sfumerebbe in nulla. Ma essi tacciono. Perchè? Perchè è in causa qualcosa di più importante delle loro persone e del comune buon senso, — l’intenzione dell’autore, il pensiero da pensare fino in fondo. E nei drammi costruiti con più rigore non mancano mai passi, in cui si rivela la sottostruttura concettuale. In quei momenti la rete magnetica, da cui lo spettatore s’era lasciato prendere, si rompe lacerata dalla mano stessa del tessitore, e tutto il brillante gioco immaginativo - dialettico rivela il suo vuoto, la sua mancanza cioè d’umanità.

Si potrebbe obbiettare che il «Dal mattino a mezzanotte», la cosiddetta tetralogia sociale (Il Corallo: Inferno, via, terra; Cas I e II) il Contemporaneamente, il Cats rivelano uno spirito sollecito dei problemi sociali, un animo nobilmente ansioso delle sorti umane. Si deve riconoscere che il signor Kaiser ha sentito i dolori e meditato i problemi del tempo da buon cittadino e buon europeo, ma in sede d’arte essi invece di commuoverlo profondamente gli hanno semplicemente offerto degli utili motivi d’interpretazione artistica. Vedete come finisce il Cas II, con un’esplosione da giorno del giudizio. La «figura gialla» canta il «Solvet saectum in favilla». Il pensiero pensato fino in fondo non presenta ormai più alcun interesse a Georg Kaiser, e dunque l’universo può saltare in aria. Non è scetticismo prodotto d’amore questo, è liquidazione per fine d’esercizio. Una specie di controprova l’offre l’ «Alcibiade salvato», l’unico lavoro attorno a cui il drammaturgo si sia affaticato per anni (gli altri li ha concepiti e stesi vertiginosamente). Meditate sull’Alcibiade tanto quanto basta per penetrare il sottile tessuto di sapienza tragica e comica insieme; — per intendere perchè Socrate debba tenersi nel piede la spina di cactea, essendosi piantata la quale in campo durante una ritirata s’è arrestato, s’è battuto disperatamente contro chiunque voleva costringerlo a continuare la fuga ed ha salvato Alcibiade; — per capire come gli sia possibile, avuta la rivelazione che lo spirito senza il corpo non può nulla, salvare col proprio sacrificio il bel corpo dell’eroe, destando in esso il bisogno dello spirito e realizzando così (lui e Alcibiade) l’ideale della Kalokagatia greca; meditate quanto basta per avvertire come già il simbolo sia qui il principio della motivazione e

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come, si, la rigidità costruttiva sostenga man mano l’allargarsi dei pensieri; — per cominciar a sentire in tal conversa concentrata di azioni e reazioni concettuali il brivido dell’effetto drammatico, — e poi dovrete ammettere che il Socrate, il quale non vive nè per sè nè per la sapienza, ma perchè il giuoco incominciato con Alcibiade vada alla sua tragico - gloriosa fine, c’è ben poco di umano. Anche questo capo d’opera è una sorta di film per il cinematografo a geroglifico dell’avvenire.


Conclusione.

Dobbiamo stupirci di tal mancanza d’umanità e pensare, che con essa il fortunato drammaturgo abbia pagato i suoi successi, tanto maggiori di quelli effimeri de’ suoi colleghi? No; i suoi successi son dovuti a solidissime qualità d’uomo di teatro, dagli altri non possedute. E anzi quel difetto, in lui tanto evidente, insegna, se non mi sbaglio, qualche cosa. Si può dire che Kaiser abbia colla sua vertiginosa attività consumata tutta la sostanza dell’arte espressionista. Problemi, materia, tecnica di essa egli li ha portati all’assurdo. Ora, se davvero ci fosse stata quella gran ricchezza, di cui si favoleggiava, la figura dell’audace recordman apparirebbe ben meschina, e la sua impresa stolta. Invece l’impresa è riuscita; e anziché provar la sua insufficienza, Kaiser si palesa l’accortissimo liquidatore di tutta l’azienda. Dunque? Dunque non è vero che fosse spuntata l’alba d’un nuovo giorno, che un sole mai visto fosse pronto all’orizzonte ecc. O almeno, non c’è in simili affermazioni molto più di vero dell’assai banale verità, che ogni giorno della vita del mondo è un principio perchè il nuovo nasce lentissimanente ogni giorno. Lo sforzo dell’espressionismo pare a me non esser dovuto alla necessità di dar espressione ad un mondo nascente ancora anonimo, ma piuttosto al desiderio di far assurgere l’inquietudine del tempo (in quanto sentita artisticamente) ad un valore immeritato. E’ ancora la vecchia illusione nell’arcana potenza d’una formula nuova; e il gusto dell’illusionismo formalistico, antica peste dell’arte. E non si confonda, dicendo essere in giuoco alcunché di ben grande, la tragedia della nostra epoca. Gli immani dolori da essa provocati sono come le piogge d’una tempesta succeduta ad una lunga siccità; noi non sappiamo quando tutte le vene sotterranee siano gonfie, e quando e dove le fontane possano di nuovo gettare acqua. Si trivella adesso rabbiosamente il terreno con uno strumento sempre fatale per l’arte, la volontà, «Der Wille zum Drama». («Voluttà del dramma») s’intitola una delle raccolte espressioniste. Titolo significativo; spasmodico volontarismo è infatti tutto l’indirizzo espressionista. Ma in arte assai meno ancora che in politica questo gaglioffo idolo di generazioni solamente tese al successo o infantilmente piagnucolanti Erlössung (liberazione) vuol dire vera potenza. L’espressionismo è stato certo un’esperienza utile per gl’insegnamenti prevalentemente negativi, che se ne possono trarre. Ha educato altresì un poco il pubblico grosso rompendogli in mano certi schemi a cui credeva troppo incondizionatamente; ha riportato il gusto d’una maggiore austerità di visione, e insieme d’una tecnica più agile e vana; ha reso indispensabile (ahi, anche troppo!) la collaborazione del régisseur col poeta; ha contribuito ad approfondire i limiti e le possibilità del dramma come opera di teatro. Ma i giovamenti rimarranno sterili, finché non dia di nuovo frutti la convinzione (nata tacitamente nell’umiltà dello spirito creatore), che la vera madre dell’arte, sola realizzatrice dell’esperienze e delle volontà umane è la ingenua fantasia.

Lionello Vincenti.


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Del mistico frate todino sono per lo più ricordate le ardenti invettive contro papa Bonifazio e le laude sacre che meglio manifestano la natura del «passo dì Cristo»; men nota è invece l’importanza di lui come poeta moralista come banditore di dottrina vitale. E’ questo aspetto che il Dott. Rebora seriamente studia nell’ampia prefazione ad alcune laude veramente degne che su di esse si fermi più che per il passato l’attenzione degli studiosi e non degli studiosi soltanto.

PIERO GOBETTI, direttore responsabile.
Soc. An. Tip. Ed. «L’ALPINA » - Cuneo Saggi critici.