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XXIV PREFAZIONE

la levigatezza degii altri migliori, ma non la cedono ad alcun altro per rilievo e per intensità di colore; e dalla relativa rustichezza, esalano come un sano odore di terra e di foglie. Con essi vanno idealmente aggruppati «I mietitori», per quanto una maggior finezza di tocco, e le allusioni a Creso e a Litierse ci avvicinino al mondo orientale. E questa, secondo ogni probabilità, fu la vigilia d’armi di Teocrito.

Agli anni di Coo apparterrà invece tutta una famiglia di idilli — la piú numerosa — nella quale i motivi agresti sono intrecciati, o, per dir meglio, sono macchiati da motivi mitologici ed eruditi.

Prototipo di questa serie è P idillio VII (Le Talisie). È certo un eco della vita poetico-pastorale che Teocrito conduceva i in Coo. E il suo tòno non può ingannarci. La serenità, la contentezza traspariscono da ogni accento. Teocrito si trovava benone in quel serbatoio: probabilmente vi trascorse il suo tempo migliore, uno di quei periodi che ad un artista arridono una sola volta, e non tornano piú mai. E il poeta, contento e riconoscente, si mostra pieno di riverenza pei «maestri» Fileta ed Asclepiade di Samo, che valevano tanto meno di lui, e pieno di deferenza verso i tigliosi colleghi. Ed è oramai tanto affigliato alla «onorata società», che trova modo di bandire anche lui, sia pure per interposta persona, il verbo della sua scuola.

Fastidio grande ho anch’io di quel murator che s’affanna
a fabbricare una casa che uguagli la vetta d’un monte,
di quegli uccelli poeti, che contro il cantore di Chio
levano il loco cuccú, perdendoci tempo e fatica.

Questa connivenza, questa fraternità, non erano senza pericolo. E infatti, in un certo senso, questa apologia della «Scuola di Coo», è il piú alessandrino fra i grandi idilli di Teocrito. Ma buon sangue non mente; e quando ci siamo infastiditi di tante sofi-