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Il cav. Vieusseux rimase un po’ sorpreso: ma siccome era un uomo di spirito e, dopo tutto, non era obbligato a far con me la parte di Catone il censore — mi suggerì subito il Daudet, il Theuriet, il Loti, tutta la gloriosa falange della Francia romantica moderna.

Da quei maghi dello stile risalii dolcemente la corrente e mi sprofondai — è la vera parola — in Teofilo Gautier, nella Sand, in Victor Hugo, in Alfred de Musset e nel divino insuperabile Balzac, di cui lessi in poche settimane tutta la Comédie humaine.

In quell’epoca feci altre preziose conoscenze. In bottega di mio cognato veniva spesso un certo signor Bartolini, un appassionato cultore, anzi lettore della Divina Commedia.

C’invitò a casa sua per una lettura e lì conobbi il bravo e buon sacerdote D. Carlo Soci, uomo di gran merito, coltissimo, paziente ricercatore di documenti storici, critico e storico egli pure non spregevole, e al quale mi affezionai come a un diletto fratello maggiore. A lui, molti anni dopo, dedicai un mio volumetto intitolato: Il Libro della Giovinetta. Il Bartolini e il Soci senza versar le docce d’una gelida erudizione inutile e parolaia sui miei bollenti entusiasmi giovanili, seppero, con l’autorità dell’esempio indirizzarli a più alte e severe idealità, tanto che in meno di sei mesi avevo letto non so più quante volte Dante, imparandone a memoria i canti più belli.

Ho già accennato all’imperiosa febbre di attività che mi governava: oltre a quella mi tormentava