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fatti positivamente dolorosi passasse il povero babbo mio prima di rinunziare onoratamente al suo commercio e ricominciare a cinquantasett’anni la vita. Sentii in quei giorni dolenti parlar di fallimenti, di amici sleali e di altre miserabili cose: sentii che mio padre, radunati i creditori, volle pagarli tutti fino all’ultimo centesimo ...

Capii che non ci erano rimasti che gli occhi per piangere, che la bella casa, i bei mobili, le semplici ma signorili eleganze della vita quotidiana erano state inghiottite da una tremenda voragine: ma seppi, oh sì, che il nome di Leopoldo Baccini era rimasto sinonimo di onoratezza e di rettitudine. Questo bastava.


A Firenze, la famiglia Salomoni ci accolse cordialmente. Gli affari di Andrea andavano sempre di bene in meglio ed egli fu molto felice, col suo gran cuore, di poter mettere a disposizione nostra la sua casa, la sua tavola ... quanto si trovava a possedere.

La mamma e l’Egle piansero insieme di dolore e di consolazione e io presi a volere un ben dell’anima al mio nipotino Ettore che aveva ormai compiuto i sette anni ed era il più grazioso biondino che si potesse mai immaginare.

Anch’io m’ero fatta una bella giovinetta, col mio personalino slanciato, il volto roseo e puro e i grandi occhi ridenti.

Abitavamo una graziosa casetta in Via Vittorio Emanuele e dalla finestra della nostra camera aperta proprio sul tetto della casa accanto, si godeva un vasto panorama di terre coltivate e di poggi.