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lauda xcii 227


Tutto lo suo voler sí è abnegato
e fatt’ha l’unione,
ed èsse messo en mano de lo svegliato
per aver piú ragione;
son tranquillati i venti — de li passati tempi,
fatta è la pace del temporegiare.
     Passato ’l tempo del temporegiare,
venuto è un altro tempo ch’è magiore,
facciamo regemento per regnare
nel primo e nel secondo e nel megliore;
iura che ragion mantenga a tutte ore,
en nulla parte faccia demorare.
     En nulla parte demoranza faccia,
ma sempre sí se deggia esercitare,
però che lo ’ntelletto non è posato,
ché ancora va per mare; — chi ben non sa notare,
non se vada a bagnare,
subitamente porríase anegare.
     Anegar può l’omo per lo peccato,
chi non vede el defetto;
però ch’è dubitoso questo stato
a chi non vei l’affetto; — privato lo ’ntelletto,
sguardando ne l’affetto,
la luce che luce tenebría me pare.
     O entenebrata luce che en me luce,
que è ch’io en te non veggio?
Non veggio quel che deggio
e que non deggio veggio;
la luce che luce — non posso testare.
     Staendo en questa altura de lo mare,
io grido fortemente:
— Succurre, Dio, ch’io sto su l’anegare! —
E per fortuna scampai malamente;
non vadano a pescare
nell’alto de lo mare, ché fa follia
se d’onne cosa empría — non se vole spogliare.