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vava quasi un improvviso sgomento, o piuttosto, l’impressione di un’ombra fredda che le si serrasse attorno, e aggrottava le ciglia. Subito però cancellava con un altro dolce sorriso il gesto ombroso involontario, sgranando e ilarando gli occhi, rinfrancata.

— Perchè mi si dovrebbe far male? — pareva dicesse a sè stessa. — Non vado innanzi alla vita, fiduciosa e serena?

La fiducia le raggiava da ogni atto, da ogni sguardo, e avvinceva.

Anche quei tre mastini feroci del Mortara bisognava vedere che festa le facevano ogni volta! Si voltavano anch’essi, or l’uno or l’altro, a guardare verso la villa, come se l’aspettassero. E Mauro, per non allontanarsi troppo, s’indugiava a esaminare ora questo ora quel tralcio, i cui grappoli, tesori gelosamente custoditi, aveva già mostrati quasi a uno a uno a Dianella, gongolando accigliato alle lodi, ch’ella gli profondeva tra vivaci esclamazioni di meraviglia:

— Uh, quanti qua!

— Carica, eh? E questo tralcio, guardate....

— Un albero.... pare un albero!

— E qua, qua....

— Oh, più uva che pampini! E può sostenerla tant’uva, questa vite?

— Se non avrà male dal tempo....

— Che peccato sarebbe! E questa? — domandava, vedendo qualche vite atterrata. — È stato il vento? Ah, dev’essere ancora legata....

Oppure, più là:

— E questi? Vitigni selvaggi? Innesti nuovi, ho capito. Evviva, evviva.... Ah, c’è pure compensi nella vita!