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CAPITOLO XXX. 581

non so quanto dovettero stare come accampati, accomodandosi alla meglio, o alla peggio, e rifacendo a poco a poco usci, mobili, utensili, con danari prestati da Agnese.

Per giunta poi, quel disastro fu una semenza d’altre questioni molto noiose; perchè Perpetua, a forza di chiedere e domandare, di spiare e fiutare, venne a saper di certo che alcune masserizie del suo padrone, credute preda o strazio de’ soldati, erano in vece sane e salve in casa di gente del paese; e tempestava il padrone che si facesse sentire, e richiedesse il suo. Tasto più odioso non si poteva toccare per don Abbondio; giacchè la sua roba era in mano di birboni, cioè di quella specie di persone con cui gli premeva più di stare in pace.

“ Ma se non ne voglio saper nulla di queste cose, ” diceva. “ Quante volte ve lo devo ripetere, che quel che è andato è andato? Ho da esser messo anche in croce, perchè m’è stata spogliata la casa?”

“ Se lo dico, ” rispondeva Perpetua, “ che lei si lascerebbe cavar gli occhi di testa. Rubare agli altri è peccato, ma a lei, è peccato non rubare.”

“ Ma vedete se codesti sono spropositi da dirsi! ” replicava don Abbondio: “ ma volete stare zitta? ”

Perpetua si chetava, ma non subito subito; e prendeva pretesto da tutto per riprincipiare. Tanto che il pover’uomo s’era ridotto a