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116 Capitolo diciassettesimo

in altri terreni e curati, torneranno a diventare squisiti. —

Raccolse una di quelle belle frutta che esalavano un odore squisito e l’assaggiò. La polpa, che si fondeva in bocca, era assai gustosa, ma così aspra da far sanguinare le gengive come quella degli ananassi bianchi dell’India.

— Coltivate nel nostro campicello, diventeranno migliori, — disse il veneziano. — Quando sarà giunto il momento di piantarle, verremo qui a prenderle. —

Raccolsero le frutta mature, e proseguirono l’esplorazione piegando verso la spiaggia, la quale era sempre coronata da rupi altissime, sulle quali nidificavano centinaia di rondini marine.

Stavano per intraprendere la scalata d’una di quelle rocce per dare uno sguardo al mare ed alla costa, quando al marinaio parve di vedere una piccola apertura tenebrosa, semicoperta da un ammasso di piante arrampicanti che si erano abbarbicate tenacemente ai crepacci.

— Una caverna? — si chiese egli, arrestandosi.

— Sarebbe una bella scoperta, — disse Albani.

— E perchè, signore?...

— Potrebbe servirci da magazzino ed in caso di pericolo anche da rifugio.

— Infatti non siamo lontani dalla nostra capanna aerea. Non vi sono che milleduecento o milletrecento metri. Ho veduto or ora il tetto della nostra dimora.

— Non credevo che fosse così vicina. Andiamo a esaminare la caverna.

— Ci vorrà un lume, signore.

— Ecco là un albero gommifero che ci procurerà una buona torcia, — disse il veneziano, indicando una isonandra gutta.

Il marinaio andò a tagliare alcuni rami, ne accese uno, poi spostò la cortina di piante arrampicanti e s’inoltrò in quell’apertura che pareva si allungasse assai entro la grande rupe.