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Oggi la Cavalleria non va intesa nel significato antico della parola. La borghesia ormai ha esautorato l’aristocrazia. Essa ha sostituito alla forza la fortezza; al coraggio militare quello civile; alla spada l’idea. Ma questo trionfo dell’umanità sui diritti e sulle prepotenze della nascita è stato completo? Non lo credo. L’aristocrazia, debellata, si è rifatta della sconfitta, regalando ai nuovi arrivati i vecchi ferri; e mentre il borghese irride i titoli nobiliari, si affanna dietro ad una miserabile croce di cavaliere e sfida a singolar tenzone e, quando può, uccide chiunque gli ostacoli la via del piacere, della ricchezza, o della vanità.

E siamo giunti a tal punto oggi, che se un calzolaio fa delle buone scarpe, vuol essere creato cavaliere, onde gli sia lecito, quando occorre, di sfidare e uccidere in combattimento singolare colui che non trovò le scarpe di suo aggradimento.

Questa inondazione di gentiluomini fa sì, che il duello viva di vita rigogliosa e, come nei tempi andati, non è difficile di trovare un villan rifatto, invece di un balocco tutto vestito di ferro, girsene in cerca di qualche bietolone che sia disposto a farsi storpiare, o a farsi ammazzare per un nonnulla, o per una sciocchezza. Talvolta, anzi, sembra di essere tornati alla Ristorazione «sotto la quale si mandavano cartelli di sfida anche al gran Cancelliere per questioni di tributi e di legislazione; o si battevano i medici per le consulte, ed ogni vanerello si cimentava colla spada nei caffè, sulle piazze e nei teatri»1.

Ma, quello che succedeva durante la Ristorazione, era avvenuto prima e s’è ripetuto poi. Il duello soddisfa troppo la vanità, perchè il buon senso, quello comune, n’abbia il



  1. Cantù; lib. 16, cap. 7.