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Ma veramente a me fóra piú lieve
menar in Libia, in Scizia i miei verdi anni
219 sott’empio giogo, faticoso e greve,

che qui posar, dove celati inganni
vivono a gara ed ogni fede è morta,

222 dove mill’Arghi son negli altrui danni;

dove, pallida il volto e gli occhi torta,
velenosa la lingua e ’l petto, rode
225 se stessa Invidia e noia ad altri porta,

che tanto divien lieta e tanto gode
quant’altri nel martir morendo vive,

228 pigra ne l’altrui ben, ne l’altrui lode;

dove colui ch’a le marine rive
l’umido armento di Nettuno pasce,

231 sovra Nereo stimato e l’altre dive,

in varie tempre si trasforma e nasce
in fiamma, in tigre, in lupo empio rapace,
234 eh’impese a quercia le sue spoglie lasce;

dove a chi men chiarir la lite spiace,
che ’l mal Tiresia ai due celesti aperse,

237 che di trama sottil l’orsoio face.

Chi sa in maniere piú dolci e diverse
cocer la lepre e ’l bel pavone occhiuto
240 ed aguzzar l’altrui voglie disperse;

chi sa che senza lume esser tenuto
vuol in piccola gabbia il nottolano,

243 costui saggio si crede e molto acuto;

chi sa come Loppeglia ed Orbicciam»
stilla piú di Gignan liquor soave
246 né per lunga stagion diventa vano;

chi sa che piú dolcezza il muggin have
quando la luna biancheggiando cresce
249 e che la tinca esser vuol gialla e grave;

chi al tòtano, a la triglia, ad ogni pesce
mette l’anguilla d’acqua viva innanzi
252 e ne’ conviti la trapone e mesce;

chi i ghiotti cibi e sconosciuti innanzi
con l’ingegno ritrova, a me pur pare
255 ch’ei sol gran premio d’ogni onor s’avanzi.