Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/80

Frate mio caro, senza te non voglio
piú viver, né, volendo, ancor potrei;
ché, poi che ti celasti agli occhi miei,
uom non si dolse mai quant’io mi doglio:
la lingua al duol e gli occhi al pianto scioglio,
né credo però mai di piagner tanto
ch’io possa col mio pianto
far palese ad altrui quant’io t’amai,
ché le lacrime mie son meno assai.

Canzon, vedrai di ricche spoglie adorno
un bel marmo e d’intorno
errar lo spirto mio, che sempre chiama
l’amato nome e sol la morte brama.

CXVUI

A Tiberio Crispo

acciocché si stia contento di umile fortuna,
(circa il 1538)

Crispo, se avvolto sei tra scogli e sirti,
ov’è sol notte dolorosa e scura,
allor che l’uso de l’etá matura
dovea tranquillo e chiaro giorno aprirti,
con pietá t’ascolt’io, ma vo’ben dirti
che nutrir dèi men ostinata cura;
il periglio, il voler, gli anni misura,
come fanno i ben nati e saggi spirti.

Si vedrai tu come natura appaga
un modesto desio, come son l’ore
ratte a partir, come son presti i danni.

Fuggi ’l canto mortai de l’empia maga
e sotto umil fortuna acqueta il core,
e vivrai teco consolati gli anni.