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CXIV

Lontano dal suo Clizio, è triste.

Dimmi, se ’l tuo desio, com’esser suole,
sia d’onor sempre e d’onestá fregiato,
Clizio gentil, chi fai piú che beato
col suon de le dolcissime parole?

chi scaldi e allumi tu col chiaro sole
degli occhi, ove s’asside Amore armato?
Sovvienti mai del mio misero stato,
in cui la vita senza te mi duole?

Ché, poi che dagli angelici costumi,
di che rivesti il secol nostro ignudo,
fortuna ingiuriosa mi diparte,

convien che desiando i’ mi consumi,
e di lacrime bagni or queste carte
ove tue lodi in versi e ’l duol mio chiudo.

CXV


Sul medesimo argomento.

Eran pur dianzi qui tra le fresche erbe
e giacinti e narcisi ed altri fiori,
che spiravano al ciel soavi odori,
quai non cred’io che in grembo Arabia serbe;

e udiansi l’ire dolcemente acerbe
e i caldi loro avventurosi amori
sonare in voci chiare i buon pastori.

Or nulla è che il dolor ne disacerbe,
se tu, che desti nelle pigre menti
pensieri alti e leggiadri, non ritorni
a stampar col bel piè gigli e viole
e a colorir, Clizio mio caro, il sole
pallido col seren de’ lumi ardenti,
cangiando in dolci i nostri amari giorni.