Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/68

XCVII1 Vanitá degli amori terreni.

Va^o pensier, che dietro a’ miei desiri
ognor battendo quanto puoi piú l’ali,
nei lacci pur con dolci esche mortali
contra mia voglia piú che mai mi tiri,
perché ’l tuo volo ornai non volgi e giri
verso l’alte bellezze ed immortali,
lasciando queste forme inferme e frali,
cagion di tanti miei pianti e sospiri?

Non ti fur date giá si lievi piume
acciò che d’un splendor fosco e terreno
di ta’ due lumi ad invaghir mi mene;

ma per guidarmi a quel celeste lume
che pur col raggio suo chiaro e sereno
appaga ognun che in lui pon la sua spene.

XCIX


Tutto instabile quaggiú: Dio lo soccorra.

Or che l’etate mia piú verde è gita
veloce, come nebbia innanzi ai venti,
e fra mille sospir, pianti e tormenti
si fugge il poco avanzo di mia vita,
m’avveggio ben che qui cosa gradita
non è che faccia noi lieti e contenti;
e, se pur sparge nostre voglie ardenti,
nel suo primo apparir quasi è sparita.

Né però posso ancor, la strada manca
lasciando, volger ver’ la destra i passi;
ché ’l mio valor, da sé, tra via giá manca.

Ma tu, che tutto vedi, alto Signore,
soccorri a’ miei desir bramosi e lassi,
ché presso esser mi sento a l’ultim’ore.