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XCVI

Si rammarica della vanitá del suo amore.

Quando talor vo rimembrando l’ore
e i giorni e gli anni piú fioriti e cari
spesi dal di che si lucenti e chiari
scoperse a me que’ duo begli occhi Amore,
e l’esilio infelice e ’l lungo errore
che, ricercando terre, fiumi e mari,
ho giá sofferto, a’ miei tormenti amari
pur procacciando ognor novo dolore,
e quai frutti di lor al fine ho còlto,
tanta m’assale al cor doglia e paura,
che sol speme di morte è che m’acquete.

O mia sorte, o destino, o rea ventura,
o per mio mal troppo sereno volto,
a che, me lasso! ricondotto avete!