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LXXXIII
Dolce ritorna primavera, non il suo amore.
I di giá involar! parte
de la notte, e le stelle
noiose dipartendo, il freddo perde;
vedesi a parte a parte
e Driope e le sorelle
di quel che ’n Po morio, vestir di verde;
ogni bosco rinverde,
e i prati son dipinti
di fior persi e vermigli ;
or gli odorati gigli»
e Giacinto ed Adone, ancora tinti
di sangue, apron appieno
a le lascive aurette il vago seno.
E le vezzose ninfe
si veggiono infiorire
verdi ghirlande e i crin dorati ornarsi;
e per l’erbette linfe
lievemente fuggire
con mormorio soave, e ’l terren farsi
gravido tutto, e starsi
su’ fioriti arboscelli,
allor che ’l di vien fuora,
a salutar l’Aurora
con vari canti i dilettosi augelli ;
e ’l tauro ora le corna
a un tronco indura or l’altro a ferir torna.
E ’l pastorei, cantando
a le fresch’ombre, mira
con occhio lieto la sua dolce schiera.
Ma che vad’io narrando,
se il cor langue e sospira,
quante scopre ricchezze primavera?
Perché la storia vera
de’ mie’ infiniti mali