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LXXVIII

Triste, ché altri gli contende la sua donna.

Ne lo spuntar che il sol fe’ in oriente,
quando il terren ne’ di piú lunghi fende,
assiso a’ piè d’un faggio, ov’ora pende
la cetra ch’ei sonò si dolcemente,
ruppe Trenio il silenzio con dolente
voce in tal guisa: — Ohimè, chi mi contende
il bel viso, la fronte che piú splende
quanto meno è la mia virtú possente?

chi gli occhi, ond’io m’appago de l’offese
che reca Amor sul tormentoso fianco?
e chi mille divine altre bellezze?

O fugaci d’Amor rare dolcezze! —
Quando di tai lamenti e d’altri stanco,
sonár le valli e ’l ciel, le stelle accese.